Parcelle milionarie e conflitti d’interesse, ecco la casta che si arricchisce con la crisi

Tutto funziona a norma di legge, in teoria, dalle procedure fallimentari al concordato, fino alle regole sull’amministrazione straordinaria, formulate per la prima volta nel 1979 (la legge Prodi) e aggiornate più volte fino all’estate del 2018, con Luigi Di Maio al ministero dello Sviluppo economico. Il business delle crisi, però, col tempo è diventato un’enorme stanza di compensazione in cui si danno battaglia cordate contrapposte di professionisti, un luogo dove finiscono per incrociarsi nomine, favori e conflitti d’interessi. Anche perché a ogni procedura collaborano esperti e consulenti vari. Altre parcelle, insomma, a volte molto ricche, che gonfiano il fatturato di studi professionali grandi e piccoli. Le indagini della procura di Roma sul concordato Astaldi,  svelate da L’Espresso , hanno illuminato trattative riservate e scambi di favori. Tanto da arrivare a ipotizzare un reato grave come quello di corruzione in atti giudiziari per Stefano Ambrosini e Francesco Rocchi, due dei tre commissari (il terzo è Francesco Ioffredi) incaricati dal tribunale fallimentare di Roma di gestire una procedura dalle dimensioni extralarge, per un gruppo con un attivo ben superiore ai 3 miliardi di euro. Sotto inchiesta è finito anche Corrado Gatti, il commercialista che avrebbe dovuto attestare la fattibilità del piano di concordato. Per dare un’idea della posta in palio vale la pena ricordare che, secondo quanto emerge dalle intercettazioni telefoniche, i commissari puntavano da principio a spartirsi un compenso di 36 milioni, 12 milioni di euro ciascuno. Il caso è ancora nella fase delle indagini preliminari. Solo sospetti, quindi, e nessun colpevole, almeno finora. Conviene partire proprio da qui, però, per raccontare le trame che avvolgono il grande affare dei salvataggi aziendali.

«È il professionista italiano che negli ultimi quindici anni ha ricevuto il maggior numero di incarichi come commissario straordinario e commissario giudiziale», si legge on line nello sterminato profilo Wikipedia di Stefano Ambrosini, 50 anni, avvocato torinese da qualche tempo attivissimo anche a Roma. Ambrosini è di sicuro il nome più noto tra quelli coinvolti nell’indagine della procura capitolina e tra le tante poltrone accumulate in carriera può vantare anche quella al timone di Alitalia in amministrazione straordinaria dal 2008. Questa procedura ha preso le mosse dopo il primo fallimento della compagnia. Il secondo crac risale invece al 2017 e ha dato il via a un’altra amministrazione straordinaria che corre parallela alla prima. In totale sono ben nove i commissari che si sono succeduti negli anni, fino a Giuseppe Leogrande, nominato a dicembre dal governo con il mandato di tentare per l’ennesima volta il salvataggio della società.

La prima Alitalia invece è da un pezzo in liquidazione, una macchina che ha prodotto e continua a produrre parcelle per un esercito di professionisti. Difficile stabilire con precisione il valore complessivo di questi compensi. Di certo siamo nell’ordine delle decine di milioni, se si pensa che nel solo secondo semestre del 2018, il conto alla voce consulenti ammonta a 952 mila euro. Nell’elenco degli incarichi compare anche quello conferito a Marco Aiello, classe 1981, un avvocato che a partire dal 2007 ha lavorato a lungo nello studio torinese di Ambrosini.

Il mandato risale al 28 luglio 2016. La data è importante, perché proprio quel giorno il ministero dello Sviluppo economico all’epoca guidato da Carlo Calenda, varò un regolamento che rende obbligatoria la scelta dei consulenti mediante una gara tra «almeno tre» diverse offerte e vieta ai commissari di affidare consulenze a «soggetti appartenenti al medesimo studio professionale». Ebbene, dai documenti ufficiali risulta che l’Alitalia in amministrazione straordinaria gestita da Ambrosini insieme agli altri due commissari Gianluca Brancadoro e Giovanni Fiori, ha assegnato ad Aiello un incarico «ad personam di particolare delicatezza, per la comprovata esperienza del professionista in ambito concorsuale». Niente gara, quindi. Aiello, come detto, ha lavorato a lungo nello studio di Ambrosini per poi mettersi in proprio – conferma lo stesso Aiello – «nella primavera del 2016». Tempo poche settimane ed ecco la consulenza pagata dalla compagnia aerea in liquidazione guidata proprio da Ambrosini.

Dal curriculum di Aiello emerge un fatto curioso: dei cinque incarichi ricevuti da amministrazioni straordinarie, ben quattro sono arrivati da società in qualche modo collegate ad Ambrosini. È il caso, oltre alla già citata Alitalia, della Asa di Ivrea (una consulenza affidata il 30 maggio 2016) e della compagnia aerea Itavia. Entrambe sono gestite con il ruolo di commissario dall’avvocato torinese ora sotto inchiesta per la vicenda Astaldi. Poi c’è la veronese Tosoni. A dicembre del 2015 Ambrosini era stato designato dal tribunale di Verona per portare il gruppo Tosoni al concordato. L’opposizione dei creditori ha però reso inevitabile il ricorso all’amministrazione straordinaria a partire dal 6 maggio 2016. Nel terzetto dei commissari Ambrosini non c’era, ma il suo allievo Aiello il 10 maggio ha ricevuto un incarico di consulenza di carattere “fiduciario” per gestire “una questione particolarmente complessa”.

Dal vaso di Pandora del concordato Astaldi emerge anche un altro nome di gran peso come Enrico Laghi, professionista romano che tra maggio 2017 e aprile 2019 è riuscito nell’impresa di gestire come commissario Alitalia e Ilva, due incarichi di nomina governativa a dir poco delicati (e ben remunerati) che si sommavano a decine di altri impegni anche come amministratore o sindaco di società. Nell’elenco compare anche Astaldi. Laghi, chiamato come consulente del concordato del gruppo di costruzioni (con parcella da 2,5 milioni), è anche creditore della società per 811 mila euro.
In sostanza, il professionista romano avrebbe quindi voce in capitolo anche sulla liquidazione del proprio credito. Su questo punto il tribunale fallimentare di Roma ha formulato rilievi critici, respinti dal diretto interessato che ha ribadito la propria indipendenza, giustificandola sul piano giuridico. La questione, finita sotto i riflettori delle cronache nelle scorse settimane, risulta ancora in sospeso. Meno noto è invece il ruolo dello stesso Laghi nella vicenda Mercatone Uno, azienda con 1.800 dipendenti che detiene il poco invidiabile record di essere di fatto finita due volte in amministrazione straordinaria. Al primo giro infatti, nell’estate del 2018, la società era stata ceduta a una cordata rivelatasi pochi mesi dopo del tutto inconsistente sul piano finanziario. La vendita alla Shernon holding, questo il nome dell’acquirente finito in bancarotta, era stata gestita dai commissari Stefano Coen, Ermanno Sgaravato e Vincenzo Tassinari affiancati da un gruppo di professionisti. Laghi è entrato in scena nell’ottobre del 2015, con il mandato di valutare i beni aziendali destinati a passare di mano. L’incarico, con parcella di 170 mila euro, è stato affidato “intuitu personae”, cioè sulla base delle riconosciute qualità professionali del commercialista romano. Niente gara, quindi, che solo pochi mesi dopo sarebbe diventata obbligatoria per effetto del regolamento Calenda.

A giugno del 2019 Mercatone Uno è ripartita da zero. Il ministero dello Sviluppo ha nominato tre nuovi commissari. Tra questi anche il commercialista Antonio Cattaneo. Lo stesso Cattaneo che figura tra i soci della Deloitte financial advisory, coinvolta come consulente nella prima fallimentare amministrazione straordinaria della società di Imola.

L’ESPRESSO

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