La guerra fantasma alla corruzione

Per non dire di quanto accade in Sicilia dove l’inchiesta sulla mafia dei pascoli e le truffe sui fondi europei, già denunciate dall’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, scampato a un attentato ma non alla rimozione politico-burocratica, hanno portato all’arresto di 94 persone e alla denuncia di 151 aziende infettate da mafia e corruzione. Corruzione dentro gli enti di assistenza che non si accorgevano di come tanti «agro-imprenditori» rivendicassero come loro perfino terreni appartenenti alla Nato. Corruzione tra veterinari che per aiutare aziende amiche le certificavano «indenni» a dispetto delle vacche tisiche. Corruzione fra notai disposti anche ad assegnare per usucapione poderi altrui. Fino all’impunità: 15 mila ettari gestiti da una famiglia mafiosa con l’uso, negli anni, di oltre 700 contratti stipulati con defunti. Uno dei quali nell’aldilà da una dozzina d’anni.

Tema: in un contesto tanto imputridito che 8 italiani su 10 sono convinti che la corruzione, come spiegava sei mesi fa Nando Pagnoncelli, non sia calata affatto dai tempi di Tangentopoli (anzi, uno su tre crede sia aumentata) possiamo permetterci di stare per mesi senza un pilota all’Anticorruzione? Per carità, la macchina continua tutti i giorni a lavorare, studiare, preparare rapporti. E sarebbe ingiusto sottovalutare il ruolo del «presidente f.f.». Facente funzione. Quel che può fare fa.

Ma un organismo centrale come quello, che ha incarnato negli anni, a torto o a ragione, tante speranze da parte dei cittadini italiani esausti dalla piaga del malaffare dai tempi in cui le tangenti erano chiamate «zuccherini», avrebbe quanto mai bisogno, tanto più dopo la stagione di Raffaele Cantone che alcuni arrivarono addirittura ad additare per un’ascesa al Quirinale, di una guida salda. Di peso. Investita di un pubblico riconoscimento di leadership. Che spazzi via i cattivi pensieri (lo vogliono davvero, un responsabile della lotta ai corrotti?) che si stanno affacciando nella testa degli italiani dopo questo vuoto seguito all’uscita di Cantone il quale si era sgolato per avvertire i rischi di una vacanza di poteri. Inutilmente.

Questo Grande Silenzio, secondo Don Luigi Ciotti e molti con lui, «è un segnale pessimo. C’è chi ha pensato che dopo lo “spazza-corrotti” tutto sarebbe stato sistemato. Non è così. È solo illusionismo. Fumo in faccia. La verità è che la politica ha fatto di tutto per smantellare penalmente la guerra alla corruzione. Trascurando il legame profondo che c’era e che c’è tra la corruzione e gli appalti. La corruzione e la mafia».

Il solito incendiario? Difficile dargli torto. La verità è che la lotta alla corruzione va a ondate. E non bastano le parole d’ordine. O capisci come cambia via via quello che Papa Francesco chiama «il pane sporco» per adattarsi meglio ai tempi, o finisci per perdere di vista quanto sta accadendo. Basti pensare a qual è oggi la «contropartita» della corruzione. Certo, ci sono ancora le mazzette. Ne abbiamo viste girare ancora tante, nei servizi televisivi di questi giorni. Ma stando all’ultimo rapporto dell’Anac dello scorso ottobre, di cui ha già scritto Giovanni Bianconi, lo scambio di fruscianti banconote è sceso al 48%. Pesano sempre di più, piuttosto, altre merci di scambio. Le regalie di un viaggio, una crociera, una gentile accompagnatrice. Le consulenze fatte avere alla società giusta. Le assunzioni di un figlio, un cugino, un amante. Non bastano le retate. Non bastano le sfuriate. Non bastano le manette. Quella che manca è una svolta culturale. La consapevolezza che la guerra ai corrotti non è solo un dovere morale. E un punto di partenza indispensabile per l’economia, la scuola, le istituzioni, il risanamento ambientale…

A chi gli chiedeva come mai la magistratura non sia riuscita in tanti anni a debellare il problema, Pier Camillo Davigo rispondeva giorni fa: «I giudici hanno fatto quello che in natura viene fatto dalle specie predatorie: migliorare la natura delle sue prede. Le indagini che come magistrati abbiamo fatto dal ’92 al ’96 hanno reso la corruzione più subdola, come se i ceppi virali si fossero fatti più resistenti, più difficili da individuare, più furba, in fin dei conti, ancora più diffusa di allora». Non avvertire questa insidia, oggi, è davvero sconfortante.

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