Non ci sono due Papi, ma la loro diversità è strumentalizzata nella lotta tra fazioni

Ma, al di là del pasticcio editoriale e dei suoi contraccolpi nei precari equilibri interni vaticani, l’episodio è rivelatore. Conferma quanto sia soggetta a forzature e strappi la lotta tra «progressisti» e «conservatori». E quanto, sia nello schieramento di Francesco che in quello di Benedetto, agiscano manipoli di pretoriani decisi a trasformare il loro rapporto dialettico ma sempre leale in uno scontro tra fazioni. Lo si era già visto nell’aprile del 2019, quando il papa emerito aveva reso pubbliche le diciotto pagine dei suoi «Appunti» sulla pedofilia, due mesi dopo il vertice mondiale delle conferenze episcopali organizzato a Roma da Francesco.

Si disse che era un colpo basso ordito da ambienti tradizionalisti contro la linea di Bergoglio. Qualcuno arrivò a sostenere che quella riflessione non era neanche di Benedetto, perché non sarebbe stato nelle condizioni fisiche e forse mentali per scriverla. Poi si è capito non solo che erano farina del suo sacco, ma che ne aveva informato anche per iscritto sia Francesco, sia il segretario di Stato, Piero Parolin; e che c’era stata l’autorizzazione papale a renderli pubblici. In quel caso, si notò un’acredine esagerata contro Benedetto da parte del «partito di Casa Santa Marta», la residenza del pontefice dentro il Vaticano; e un’ostilità altrettanto becera dei nostalgici di Ratzinger contro Bergoglio.

Il fatto che il tentativo riaffiori adesso non deve sorprendere. Il papato argentino vive una fase di affanno, se non di stasi. L’aggressività del fronte tradizionalista nei suoi confronti non accenna a placarsi, con spinte centrifughe che arrivano a evocare conati scismatici. E, in parallelo, si avverte una pressione crescente dei tifosi di Francesco, per spingerlo a prendere posizioni più radicali su temi come appunto la fine del celibato dei sacerdoti: a costo di spezzare davvero il compromesso del quale lui e Benedetto sono stati garanti in questi anni. Che i «due Papi» riescano a fermare il pericolo di una frattura interna, a questo punto, non è scontato.

La loro presenza in Vaticano, a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, è un’anomalia che accompagna da quasi sette anni il pontificato. Era imprevedibile, ai tempi della rinuncia di Ratzinger e dell’elezione di Bergoglio, il 13 marzo del 2013, sapere che forma avrebbe preso il loro rapporto in assenza di regole certe: era la prima volta dopo settecento anni. Né si poteva immaginare che Francesco sarebbe stato affiancato per un periodo così lungo dal «non papato» del predecessore tedesco. La versione ufficiale era infatti che la rinuncia di Benedetto XVI fosse legata alle sue condizioni di salute precarie, sebbene non solo da quelle.

In questi anni il Vaticano ha convissuto non solo con «due papi» ma con un doppio mistero: quello delle vere ragioni per le quali Ratzinger si è dimesso, e del patto tacito che lui e il successore avrebbero stipulato dopo il Conclave. E dunque dovrebbe meravigliare non tanto l’increspatura emersa negli ultimi giorni, ma il fatto che per tutto questo tempo il doppio mistero abbia preservato l’unità della Chiesa. È vero che in filigrana si intravede un’accentuazione del ruolo del papa emerito come guardiano della dottrina; e, sul versante opposto, la difficoltà di Francesco a frenare quei settori progressisti che, lungo l’asse Germania-Brasile, hanno premuto per un controverso Sinodo sull’Amazzonia: quello che ha innescato la discussione sul celibato dei sacerdoti.

Ma lo schema di Francesco «rivoluzionario» e di Benedetto «ortodosso» appare inadeguato, oltre che stucchevole. A novembre, sulla rivista tedesca Vatican Magasin, il giornalista Von Ludwig Ring-Eifel li ha accomunati in un giudizio spiazzante. «Benedetto XVI e Francesco hanno entrambi contribuito alla rapida destrutturazione del papato in pochi anni… Dopo che Benedetto aveva normalizzato il pontificato con le sue dimissioni», si legge tra l’altro, «Francesco ha inflitto un altro potente colpo con la sua diluizione e relativizzazione del papato». È un’analisi opinabile, ma potrebbe servire se invita tutti a uscire dall’imbuto sporco delle polemiche strumentali.

CORRIERE.IT

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