Trasformisti, riciclati e “travestiti” alla carica per un seggio in Calabria

E allora decide con il suo movimento chiamato “Idm”, acronimo che sta per “Italia del Meridione”, che sosterrà un candidato della lista dell’Udc, vale a dire Rosolino Cerra. Non a caso circola una battuta nel cosentino: “Se gratti Cerra trovi il faccione di Greco”. Lo stesso si può dire del trasformista, ex rifondarolo, Pitaro, oggi candidato nella lista “Santelli presidente”, dietro cui si nasconde il nome di Bruno Censore, ex parlamentare del Pd, che non è stato voluto da Callipo.

Certo poi ci sono gli evergreen. Inamovibile è Tonino Scalzo. Eletto nel 2014 al consiglio regionale fra le fila del Pd con circa 13 mila preferenze, a un certo punto Scalzo si stacca, fa nascere una stampella dal titolo evocativo “i moderati per la Calabria”, che circa un anno fa lascia la maggioranza di centrosinistra e decide di approdare nel centrodestra. E oggi Scalzo è una delle punte di diamante dell’Udc a sostegno, manco a dirlo, di Jole Santelli. Stesso destino per Franco Sergio, anche lui “compagno” di Scalzo nel gruppetto consiliare “Moderati per la Calabria”, e a sua volta eletto nel 2014 nella lista “Oliverio presidente”. Ma non importa. Perché passare dalla sinistra alla destra in Calabria non scandalizza. E’ la prassi, si direbbe. Sergio allora rimodula uno dei principi cardini del doroteo Bisaglia che ripeteva a ogni piè sospinto: “Stare sempre in maggioranza”. E così, convinto dell’exploit del centrodestra o destracentro, si ritrova nella lista “Santelli presidente”. Anche Mauro D’Acrì proviene dal centrosinistra. Nel “lontano” 2014 D’Acrì era uno dei centravanti di sfondamento della lista dell’ex governatore di centrosinistra Mario Oliverio. All’epoca raccolse nella circoscrizione Nord della Calabria 6.561 preferenze, non certo due noccioline. Ma è passata un’eternità da quel dì. Ora Oliverio è fuori dai giochi, non è in campo, e allora il nostro, per non essere da meno, ha portato in dote alla Santelli, che non rifiuta nessuno, oltre 6 mila preferenze. E’ infatti candidato nel cartello “Santelli presidente”.

Eppure, scorrendo le molteplici liste che affollano il centrodestra, c’è un nome che salta all’occhio: Giuseppe Neri. Quest’ultimo, classe ’72, di origini canadese, proviene dal centrosinistra, ed è cognato di quel Nico D’Ascola, già senatore Pdl, poi alfaniano al punto da seguire Angelino nelle fallimentari esperienze del Nuovo Centrodestra e di Alternativa popolare. Ma dicevamo di Neri. Il quale è stato infatti eletto nel 2014 con i Democratici e Progressisti raggranellando oltre 5 mila preferenze. Poi un passaggio nei moderati per la Calabria, cartello che stava a metà fra la destra e la sinistra, a seconda del sentiment, infine l’ultimo salto della quaglia il passaggio con la destrissima Giorgia Meloni che lo ricandida al consiglio regionale. In Fratelli d’Italia Neri ritroverà un altro campione del trasformismo come Domenico Creazzo, sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte, indicato dal centrosinistra come vicepresidente del Parco nazionale d’Aspromonte. Lo scorso 27 dicembre Creazzo ha vergato un post su facebook dove ha ufficializzato la sua discesa in campo con il partito della pasionaria Meloni: “Mi approccio a questa nuova avventura con l’entusiasmo di sempre”. Non abbiamo alcun dubbio. Come non lo avremo di tal Demetrio Marino, altro volto di un centrosinistra che si è fatto centrodestra, consigliere metropolitano di Reggio Calabria con delega all’Istruzione in quota progressisti, al quale oggi ha aperto le porta di Fratelli d’Italia. Eppure, raccontano fonti qualificate, che il nostro è stato in dubbio fino all’ultimo. Era indeciso se sposare la Lega, ritornare a Forza Italia, dove c’era già stato nel 2014, oppure sedersi al tavolo di Fd’I. Un destino assai simile a quello di Francesco De Nisi, nato a Filadelfia, un cinquantenne ingegnere in cerca d’autore o di poltrona. Di estrazione cattolica, De Nisi milita inizialmente nel fu Partito popolare. Poi fa il giro di tutto il centrosinistra, fin quando nel 2008 è eletto presidente della Provincia di Vibo Valentia. Nel 2012 vuole fare il grande salto nella politica di serie A e prova a farsi eleggere a Palazzo Madama. Niente da fare. Poi ci riprova alle elezioni regionali del 2014, sempre in quota Pd. Il risultato è buono, ma non basta aver conseguito 9 mila preferenze. Adesso, come se nulla fosse, è uno degli animatori della lista di Fratelli d’Italia. Obiettivo unico: conquistare uno scranno alla regione.

Va detto che in questo viaggio nel trasformismo calabrese non si possono non annoverare Nicola Paris, che ha lasciato i democratici per approdare nell’Udc, e Vincenzo Pasqua, uscito dalla maggioranza di centrosinistra nel corso della legislatura, e ora frontman della lista “Santelli presidente”. Per non parlare di Alessia Bausone, oggi con la casacca del Movimento Cinquestelle, ma con una storia tutta a sinistra, essendo fino a poco tempo fa non solo tesserata del Nazareno ma anche ex coordinatrice della mozione Boccia all’ultimo congresso dei democratici.

Come ogni competizione che si rispetti ci sono anche gli indagati o comunque chi, come Antonio Daffinà, è stato scelto da Forza Italia come pezzo da novanta  ma compare nel verbale del pentito Andrea Mantella. Va detto che Daffinà non è indagato ma, stando alla deposizione di Mantella, viene inserito nella lista dei “massoni vibonesi” che “avevano rapporti con la ’ndrangheta, nel senso che gli chiedevano dei favori e loro si mettevano a disposizione, per ottenere provvedimenti amministrativi e autorizzazioni, favori in ospedale, posti di lavoro”. Di più: Daffinà in qualità di commissario straordinario dell’Aterp (Azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica) è coinvolto con tanto di rinvio a giudizio sull’utilizzo dei fondi ex Gescal per acquistare la sede dell’ente. Ed è lambito dalla stessa vicenda un campione delle preferenze come Pino Gentile, volto assai noto della politica cosentina, nonché fratello di quel Tonino, sottosegretario dei governi Renzi e Gentiloni. Ecco Pino è candidato con la “Casa della Libertà”, una lista nostalgica che ricorda gli anni d’oro del berlusconismo. Gli azzurri del Cavaliere schierano anche Maria Grazia Pianura, moglie di Pasquale Farfaglia, ex primo cittadino di San Gregoria di Ippona, comune sciolto per infiltrazioni mafiose.

E va da sé che in questo contesto grava come un macigno l’inchiesta “Rinascita-Scott” sui rapporti tra mafia e politica della Procura guidata da Nicola Gratteri che lo scorso dicembre ha portato all’arresto di 334 persone, il più grande blitz dopo il maxi processo di Palermo. E se Giuseppe Scopelliti, l’ex governatore della Calabria condannato in Cassazione a 4 anni e 7 mesi nel processo sui conti del comune di Reggio Calabria, non può essere della partita per causa di forza maggiore, le sue truppe hanno trovato casa all’interno della Lega di Salvini. Il Capitano leghista mette in campo il consigliere regionale Tilde Minasi e l’editore reggino Franco Recupero. Senza dimenticare Caterina Capponi, moglie del medico Antonino Alberti, gran maestro regionale della Gran Loggia Regolare d’Italia. Eppure, in questa carrellata di nomi il guinness dei primati viene assegnato d’ufficio ad Alfio Baffa, personaggio che è stato già raccontato dall’Huffington Post. Baffa è un trasformista di professione. E’ stato tutto: berlusconiano, verdiniano, persino cinquestelle. Alla fine però ha dovuto cedere alla sirene di Matteo Salvini. E’ lui  il primo al traguardo della farsa con tanto di video in cui il nostro, nudo, immerso nella vasca da bagno – idromassaggio va da sé – con il sigaro e un bicchierozzo di whisky, saluta i suoi amici del gruppo whatsapp “revenge porn”. Come quei malavitosi che si atteggiano a Vito Corleone, dopo essersi sciroppati mille repliche del Padrino, così questo sgangherato candidato si fa caricatura di una già logora caricatura: quella di Cetto La Qualunque, il personaggio che ha reso celebre Antonio Albanese. Il suo motto la dice tutta sul personaggio: “Insieme per una svolta”. Praticamente ogni volta, una giravolta. E non è la sola di questa folle campagna elettorale calabrese. 

L’HUFFPOST

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