Le basi attaccate in Iraq: «Sono stati i Patriot a salvare gli italiani»

Ciò che possiamo comunque provare a raccontare è che l’attacco con missili balistici (tra 15 e 22) sparati direttamente dal territorio iraniano è avvenuto simultaneamente su due obbiettivi. Il principale è stato la base di Al-Asad, vicina alla cittadina di Al Qaim presso il confine siriano, dove sono concentrati circa 2.000 dei 5.200 soldati americani. «È una base gigantesca. La sua pista d’atterraggio è lunga almeno 5 chilometri. La volle Saddam Hussein nei primi anni Ottanta, poi dal 2003 gli americani ne hanno fatto una roccaforte ben munita», ci spiega l’ex pilota da caccia dell’aviazione di Saddam, il 58enne Ahmed al Sharifi, che oggi è consigliere militare di Alì al Sistani, il massimo leader spirituale sciita in Iraq. Secondo i media iracheni e le informazioni da Washington, nonostante la propaganda iraniana parli della morte di «almeno ottanta terroristi americani», non pare vi siano vittime.

Erbil, il secondo obbiettivo della rappresaglia iraniana, ha invece interessato da vicino il contingente italiano. Dopo l’evacuazione tre giorni fa della base Union3 all’interno della «zona verde» nella capitale (dove al momento resta ancora il comandante del contingente, generale Paolo Fortezza, con una decina di collaboratori), gli italiani sono stati spostati su Erbil, dove oggi contano oltre 600 soldati. Oltre 200 Carabinieri pare invece restino a Camp Dublin, presso l’aeroporto internazionale di Bagdad. Anche noi abbiamo potuto verificare il 24 dicembre durante la visita natalizia al contingente assieme al ministro della Difesa Lorenzo Guerini e al capo di Stato Maggiore, generale Enzo Vecciarelli, che la base italiana è prospicente a quella americana. Sono entrambe comprese nel recinto dell’aeroporto civile. «Se un grosso missile balistico mirasse agli americani, quasi automaticamente anche gli italiani sarebbero investiti dallo scoppio», ribadiscono fonti sul posto.

Ottanta chilometri più distante si trova la base di Harir, pare presa di mira da almeno altri 5 missili, anch’essi incappati nel sistema antimissilistico Usa. Altri due o tre missili hanno investito Bardarash, 30 chilometri a est di Erbil, dove sono situati gli impianti della compagnia petrolifera britannica Chevron Oil. Ma le baracche del personale, compresi i dipendenti americani e inglesi, erano state evacuate parecchie ore prima. I media e iracheni tendono ora a credere che il peggio sia passato. Almeno per il momento. Ma non è escluso che le milizie sciite non provino a loro volta a vendicare la morte di Mohandes. In questo caso, le basi americane potrebbero tornare ad essere prese di mira dai molto più tradizionali colpi di mortaio e Katiuscia tirati dei gruppi locali.

CORRIERE.IT

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