Domande senza risposta

È facile trovare il colpevole nel governo. Un governo che ha il peccato originale di essere nato non per scelta ma per necessità. E che per questo ha messo assieme forze politiche di diversa estrazione e orientamento. Ma peccato originale o meno, questo non può essere un alibi per non dare risposte.

Servono risposte a domande che sono persino disarmanti nella loro semplicità. Ma senza le quali continueremo a inviare a chi vive e lavora in Italia, ai nostri partner dentro e fuori il Paese il peggior messaggio: quello paralizzante della incertezza.

Lo ricordavamo nei giorni scorsi. A novembre sui conti correnti italiani secondo l’Associazione bancaria erano depositati 1.577 miliardi. Fermi. Risorse che potrebbero essere investite dalle imprese, potrebbero alimentare i consumi. E che invece sembrano prendere la forma di un gigantesco paracadute che gli italiani, le aziende, tengono pronto temendo un futuro peggiore.

Subiamo la continua costituzione di cabine di regia, gruppi di studio, task force volanti, ma chi sta dicendo al Paese con chiarezza e decisione che la seconda manifattura d’Europa, vale a dire l’Italia, noi, abbiamo bisogno di un gruppo come l’Ilva? Ogni volta che la magistratura interviene in economia è una sconfitta, indice che qualcosa non ha funzionato come dovrebbe. Questo la politica sembra non comprenderlo beandosi quando riceve tempo, come ieri sull’Ilva. Dannandosi quando i giudici impongono il loro ritmo.

Leggere le motivazioni dell’assoluzione di Fabio Riva dall’accusa di bancarotta fraudolenta relativo all’Ilva dove si afferma che non c’è stato il «contestato depauperamento generale della struttura», aprirà a nuovi contenziosi? E ad altrettanta incertezza? Probabile. Mettere le migliori menti al lavoro sul futuro dell’Ilva, dai banchieri, agli imprenditori, ai manager non potrà mai avere effetti tangibili se non si è convinti che l’Italia, come la Germania e la Francia, potrà contare su acciaierie che non uccidono le persone.

L’Italia ha bisogno o no di una compagnia di bandiera? Se si crede che la risposta sia «sì» lo si dica chiaramente. Non si imponga surrettiziamente la tassa occulta dei «prestiti ponte». Facendo salire il conto per i cittadini. Spingendo così i contribuenti ad aspettarsi che, avendo già pagato 9 miliardi per far volare Alitalia negli ultimi anni, possano arrivare altri conguagli, naturalmente a loro spese. Se invece si pensa che possano bastare più di due decenni di tentativi falliti, si lasci risanare chi sa farlo. Assumendosene la responsabilità, a cominciare dalla salvaguardia dei lavoratori.

È lodevole e doveroso, quando possibile, l’intento di tenere tutto assieme, dalle ristrutturazioni ai rilanci. Ma politica ed economia sono complementari quando ognuno rispetta il proprio ruolo. Su Autostrade in quale ginepraio ci si sta infilando con quell’articolo 35 del «Milleproroghe» sul ritiro della concessione? Uno Stato che non ha avuto la capacità di controllare le manchevolezze evidenti del concessionario in questi anni, quale garanzia può dare di essere un gestore migliore? O si pensa che gestire sia meno complicato che controllare?

Certo, servirebbe riavviare la macchina di una Pubblica amministrazione che si è impigrita e deprofessionalizzata tra elezioni continue, maggioranze che si succedono badando più alla sopravvivenza che all’effettiva azione. E servirebbe una politica che non punti a vincere nelle urne ma a passare al governo che seguirà un Paese migliore di come lo aveva trovato.

Lasciateci, in questo inizio d’anno, preferire al cinismo di chi pensa a consolidare se stesso puntando sul passato, la convinzione (lo sappiamo, forse ingenua), che chi vuole lavorare per il futuro abbia davanti a sé una strada sicuramente più impervia ma utile al Paese. E magari anche a loro stessi.

CORRIERE.IT

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