Caccia ai responsabili

La manovra consiste in questo: mettere su un gruppo che stabilizzi la legislatura, ma al tempo stesso che provi a parlare con Salvini, con dentro quelli che stanno con Toti e chi la pensa in maniera diversa da Toti, chi fino ieri odiava Salvini e chi lo amava, una piccola accozzaglia che si prezza nel grande suk del Senato. Solo a spiegarla è da mal di testa: una gamba moderata, distinta da Forza Italia, ma alleata di Salvini, ovviamente in modo “non subalterno”, e ovviamente sognando Mara, che però al dunque sempre dentro Forza Italia resta. Come direbbe Peppino, “ho detto tutto”. C’è anche il problema del simbolo, che non è poca cosa perché Lorenzo Cesa, a cui è stato chiesto il simbolo dell’Udc, non ci sta.

Ecco uno che parla chiaro, il senatore azzurro Luigi Vitali, che del gruppo farà parte, almeno oggi così pare: ”È un modo per diventare interlocutori. Il punto è questo: la legislatura è nelle mani di Salvini, dipende solo da quanto è disposto a pagare in termini politici”. Viva la sincerità. In fondo, è così. Con una maggioranza così risicata, se il leader della Lega desse garanzie in termini di rielezione a una decina di azzurri o a una decina di cinque stelle, o un po’ e un po’, magari gli riuscirebbe la spallata. Il “suocero”, inteso come Verdini, ai bei tempi, una roba del genere l’avrebbe chiusa in 48 ore. Attenzione però perché un’asta è un’asta. Una parola di saggezza la dà sempre quella vecchia volpe di Casini, che in questo Parlamento è innanzitutto uno spettacolo estetico, calmo, sorridente, l’occhio del professore esperto in mezzo a una scolaresca: “Bisogna essere prudenti con questi giochi. Vedo da un lato tante promesse, dall’altro la prospettiva di tre anni di legislatura. Che sceglie un senatore?”.

Dicevamo, gli azzurri. Alla fine, la manovra non funziona. Di otto assenti finali, solo tre sono “non giustificati”: Mallegni, la Rossi, Romani. Forse anche perché Salvini ha mostrato una certa freddezza sui nuovi responsabili: “Per per me – ha fatto sapere – conta chi ha votato sul Mes, quello è il perimetro”. Il punto sono i Cinque Stelle. È quel processo di sgretolamento semmai l’aspetto interessante. È lì, semmai, che si apre la crisi, non “al centro”, perché c’è una crisi politica reale. Un pezzo, è evidente, la pensa come Salvini. Si potrebbe infierire sull’ennesima giornata orribile: chi voleva aprire il Parlamento come una scatola di tonno che chiede aiuto ai berlusconiani, l’ennesimo rospo ingoiato sul Mes, la difesa della “poltrona” come unico collante. Vale, come sintesi, lo sconforto di Nicola Morra. Stravolto a fine giornata: “Sono senza parole. Non si può andare avanti così”. Sempre lì si torna. O’ presepe non piace, ma questo è. Almeno per oggi risparmiamoci l’analisi su quanto può durare una roba così, nelle mani di Salvini. Altre due scosse e il gioco è fatto. Sentite Zanda, che sapienza: “Saranno i fatti a decidere quanto dura. Ora c’è la manovra, poi la prescrizione. Non c’è uno che stacca la spina, ma i fatti che determineranno la dinamica”.

L’HUFFPOST

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