L’economia tedesca sta arrancando. E ora anche l’Italia rischia

“L’industria dell’auto più di ogni altra branca, ma anche il resto del vasto comparto manifatturiero tedesco, soffre della crisi mondiale del mercato delle quattro ruote”, fa notare Repubblica. Tale situazione problematica è “aggravata poi dai ritardi delle scelte di conversione produttiva di ogni marchio tedesco dalle auto a motori a combustione interna a modelli ibridi o elettrici, rispetto ai concorrenti asiatici, francesi, o nel comparto premium anche a confronto con Volvo”. La flessione è stata del 5,6% su base mensile e addirittura del 14,4% su base annua.

L’auto in Germania occupa 830mila persone, 50mila delle quali ora hanno a rischio il loro posto di lavoro

La crisi dell’auto genera crisi dell’indotto manifatturiero a livello di filiera e si unisce a una più generalizzata e inattesa crisi del settore immobiliare ed edilizio, che si è flesso del 2,8%. Edilizia che risulterebbe un volano per la crescita e la riduzione delle disuguaglianze interne se il governo di Angela Merkel capisse che un programma di edilizia popolare comporterebbe maggiori prospettive economiche e sociali ai cittadini affetti dal fenomeno della precarietà urbana. In tale constesto, “secondo Capital Economics, sul piano generale, la Germania è alle prese con il suo peggior declino economico su base annuale dal lontano 2009”.

I campanelli d’allarme della Germania devono preoccupare tutta l’Europa. Intenta a serrate discussioni sul “fondo salva-Stati” (il Mes) che non devono contribuire a spostare l’attenzione dal quadro generale: la complessiva rigidità della governance economica europea avente al suo centro la Germania della Merkel. Il mercantilismo tedesco è la risultante della somma dell’austerità europea alla svalutazione interna, ma l’integrazione delle catene del valore ha portato molte industrie europee, tra cui quella dell’Italia del Nord, a essere integrate nei processi produttivi delle case madri di Berlino.

L’Italia, priva di una politica industriale degna di questo nome, rischia di essere la grande sconfitta della crisi tedesca. I dati di alcuni settori dell’Italia del Nord sono indicativi in tal senso: tra settembre e novembre, ad esempio, l’economia della provincia di Brescia, tra le più integrate con la Germania, ha conosciuto un rallentamento del 4,5% nel campo della produzione industriale, ancora più accentuata in quei settori funzionali all’export, come metallurgia (-6,7%), meccanica tradizionale (-5,9%) e componentistica (-4,9%). In Lombardia, oltre al caso bresciano, il Messaggero segnala che i distretti più in crisi nell’ultimo scorcio di 2019 sono alcuni tra quelli più legati alla catena del valore tedesca, specie nel settore auto: la gomma del Sebino Bergamasco (-9,7%), la metalmeccanica di Lecco (-7%) e la meccanica strumentale di Bergamo (-14%). La crisi della Germania è una crisi europea. E l’Italia deve impegnarsi politicamente per contenerne le conseguenze interne: non sapendo per quanto a lungo si potrà protrarre, un’azione incisiva in materia di politica commerciale ed industriale non è solo desiderabile ma anche necessaria.

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IL GIORNALE

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