Tre uomini e una farsa

Poche ore dopo, ecco la seconda istantanea. Al Senato, quando interviene Salvini, il capo dei Cinque stelle non c’è, sottraendosi al ruolo di bersaglio, perché in fondo la pensa come l’opposizione di oggi, che fu governo allora quando non disse niente sull’impianto del Mes, per come veniva negoziato. Nell’assenza si materializza il cuore del problema. Perché l’opposizione è dentro, non fuori. E infatti non è l’unico assente. Il leader della Lega indica i banchi della maggioranza: “Guardi là, signor Conte. Mentre lei parlava mancavano sessanta senatori della maggioranza. Questo vorrà dire qualcosa”.

Sono le foto di una sorta di nuovo 20 agosto – Conte contro Salvini, Salvini contro Conte, Di Maio che sta con Conte, ma vorrebbe stare con Salvini – ma stavolta senza dramma, e anche senza prospettiva, speranza, eterno “prima” in cui non c’è un dopo. Un remake farsesco di tre uomini ancora profondamente intrecciati l’uno all’altro e inchiodati allo stesso ruolo, diventato stucchevole come ogni ripetizione incapace di evolvere, prigionieri del passato. Se il 20 agosto segna comunque una cesura consumatasi con la dignità di una crisi dichiarata, questo 2 dicembre lo ripropone nelle forme di una polemica scesa dal piano nobile al sottoscala, tra accuse di “tradimento” e repliche sull’ignoranza, senza uno straccio di politica. Ma la testa e l’orologio emotivo sono eternamente fermi ad allora.

Questo 2 dicembre è il disvelamento che il nuovo governo non è mai nato. Un premier che accusa l’avversario per accusare l’alleato, senza mai farne il nome, con l’atteggiamento, in fondo, di chi si sente sempre estraneo e superiore, tanto al governo di allora quanto al governo di oggi, tanto alla crisi di allora quanto a quella di oggi, come se lo sfarinamento delle maggioranze fosse questione che non investe chi ha il dovere di guidarle. Un capo dell’opposizione che, nel suo discorso, anzi nella sua sequenza di slogan da comizio, parla più dell’Umbria e dell’Emilia che del provvedimento in questione. L’altro, Di Maio, che non presentandosi in Senato assieme a un pezzo dei suoi rende plastico ciò che aveva detto più volte al cdm di domenica notte. E cioè che al Senato non ci sono i numeri sulla questione del Mes, se non ci saranno modifiche.

Ecco, dicevamo, è la cronaca di un nuovo governo mai nato, una di quelle classiche situazioni incancrenite in cui tutto può anche precipitare senza che nessuno lo decide, come sempre nelle fasi in cui il morto, inteso come la dinamica in cui sono inchiodati i protagonisti, rischia di sbranare il vivo. Parliamoci chiaro: la crisi dei Cinque stelle ha contagiato il governo, rendendola strutturale. Nel discorso di Conte, come sempre proprio di chi affida il ruolo alla verbosità come a una pochette, c’è solo un elenco di fatti e circostanze per spiegare che tutti sapevano e nessuno parlava, e di recriminazioni verso i ministri del suo governo, ma manca il cuore della questione, il “che fare”. Anzi il “che fare” consiste in un prendere tempo, sperando che il ministro dell’Economia riesca a ottenere all’Eurogruppo modifiche sull’unione bancaria e sui dettagli del Mes, nella famosa logica di pacchetto. Per poi convincere Di Maio.

Solo in Italia si può assistere allo spettacolo surreale di un Parlamento che discute, in un clima da pre-crisi di governo, di un tema che l’Eurogruppo considera chiuso perché “la riforma è stata già approvata a giugno”. Quel che resta da discutere sono solo alcune “questioni subordinate” per cui si può concedere un altro mese o due, ma senza che si possa riaprire la discussione. Che poi è quel che, con grande franchezza, ha spiegato il ministro Gualtieri la scorsa settimana. Non è un dettaglio: siamo di fronte a un impianto negoziato dallo scorso governo, difeso solo dal Pd, disconosciuto dai vicepremier di allora. Di comprensibile c’è solo una ripetuta, continua incertezza, “istituzionalizzata” in una ridda di vertici inconcludenti e in una sequenza di consigli dei ministri che iniziano a palazzo Chigi nell’ora in cui aprono le balere e finiscono quando chiudono i night club, con i giornali già in stampa, alla faccia della trasparenza. Il governo è un eterno vertice notturno, come se ormai fosse diventato difficile anche organizzare incontri in modo solare e razionale, e anche questo è un dato politico. Non c’è una sola giornata in cui, a un certo punto, è possibile mettere un punto fermo su ciò che accade. 

L’HUFFPOST

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