Strage di Milano La memoria che resiste

Il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, Carlo Arnoldi, nella strage ha perso il padre. Racconta che, per quanto ne sa, non ci sono superstiti tra le donne e gli uomini rimasti feriti cinquant’anni fa. Molti erano adulti, qualcuno già anziano. È possibile che si sbagli. Qualcuno che quel 12 dicembre l’ha vissuto sulla propria persona dovrebbe ancora essere vivo.

Piazza Fontana, 50 anni dopoIl 12 dicembre 1969 la madre di tutte le stragi

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Aspettiamo la sua testimonianza. Perché è troppo angosciante pensare che di quel giorno, relativamente vicino e così importante per l’Italia e per Milano, non sia rimasto davvero nulla.

Colpevoli certi non ce ne sono. In carcere non c’è nessuno. Non esiste una verità storica incontestata, e quindi condivisa. Esiste una verità giudiziaria, che si può così sintetizzare: estremisti di destra — forse infiltrati tra gli anarchici, certo coperti dai servizi segreti — hanno colpito innocenti per provocare una svolta reazionaria.

Che cosa sanno di tutto questo i nostri figli e nipoti? Non molto più di nulla. Eppure riannodare il filo della memoria non è impossibile. In questi giorni è stato giustamente ricordato l’assassinio di Antonio Annarumma, un poliziotto di ventidue anni ammazzato con un tubo di ferro dagli estremisti di sinistra a Milano il 19 novembre 1969. Un delitto negato e occultato per molti anni.

Anche di piazza Fontana è importante che si parli. Le iniziative non mancano. Il Comune farà senz’altro la sua parte, come le associazioni. La giornalista Anna Migotto ha girato un documentario sulla reazione dei milanesi che sarà presentato il 15 dicembre, anniversario dei funerali. Il regista Marco Tullio Giordana ha chiesto alla Rai di trasmettere il film Romanzo di una strage, che tra l’altro difende la memoria di Giuseppe Pinelli e del commissario Luigi Calabresi, anche loro in modo diverso vittime delle conseguenze di quell’evento terribile. Sono tanti segnali, che però andrebbero legati da un disegno comune. Rivolto in primo luogo ai nostri ragazzi.

Piazza Fontana non è soltanto un posto in cui sono morte e sono rimaste ferite troppe persone in modo assurdo e ingiusto. È anche l’inizio di anni drammatici per la convivenza civile. Anni in cui le giovani generazioni mimarono la guerra civile combattuta dai padri tra il 1943 e il 1945. In cui la fedeltà al patto costituzionale fu violata sia da bande armate rosse e nere, sia da apparati dello Stato. Non è sempre facile districarsi tra gli eccessi ideologici, tra i dietrologi di professione e tra i negazionisti, tra chi esagera pensando che non si sappia nulla e chi esagera pensando che si sappia tutto. Ma custodire e trasmettere il ricordo è un dovere.

Per troppo tempo hanno avuto diritto di parola solo i carnefici: pubblicati dagli editori, invitati in tv, quasi mitizzati. Poi finalmente la parola l’hanno presa le vittime. Libri come Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi e Come mi batte forte il tuo cuoredi Benedetta Tobagi hanno avvicinato i giovani a una vicenda che non conoscono, ma che li riguarda. De te fabula narratur, di noi parla la storia. Piazza Fontana dovrebbe essere ricordata — a cominciare dai nomi e dalle biografie delle vittime — in tutte le scuole di Milano. Che in questi anni sta tornando capitale morale; e quindi può essere anche la capitale della memoria.

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