Il Mes non deve spaventare, ma va dotato di eurobond

Impressiona anche ricordare che il 19 giugno 2018 il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron firmarono l’Accordo di Meseberg con cui non solo si tracciavano le linee di riforma del Mes, ma un programma di riforma di tutta la Eurozona che tra l’altro comprendeva anche la creazione di un bilancio comune per l’area. In Germania le critiche al cancelliere furono violente in quanto si riteneva che queste prospettive mettessero in pericolo gli Stati virtuosi a vantaggio di quelli spendaccioni. Di tutto ciò in Italia si è discusso a lungo con intervento di studiosi qualificati sulla stampa. Non ci pare però che il Governo italiano dal giugno 2018 abbia individuato dei referenti costanti e qualificati per seguire la materia. Impressiona vedere che la stessa è (ri)comparsa solo ora, quando il 6 novembre un esperto qualificato come Gianpaolo Galli ha (ri)evidenziato delle perplessità sulla modifica del Mes in una audizione alla Camera presso due Commissioni congiunte.

Due valutazioni

Soffermiamoci allora su due valutazioni espresse da “tecnici” di grande valore e con diversa estrazione ai quali chiediamo venia per le nostre semplificazioni. 

Una prima valutazione è di Giampaolo Galli, attuale vice direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica, per il quale la riforma del Mes rafforza pericolosamente il principio che l’aiuto finanziario del Mes stesso a un Paese in difficoltà, ma con debito pubblico “non sostenibile”, possa essere erogato solo a condizione che questo debito sia ristrutturato ex ante e quindi a danno dei risparmiatori che vi hanno investito. Per l’Italia questo potrebbe verificarsi in quanto il nostro debito pubblico sul Pil, stando ad alcune previsioni “a politiche invariate” del luglio scorso della Commissione Europea aumenterebbe addirittura di altri 10 punti entro 10 anni mentre per il Fondo Monetario Internazionale in 15 anni potrebbe arrivare persino al 160% del Pil. Per questo la riforma del Mes non deve dare ai mercati un segnale di pericolosità sugli impieghi in titoli di Stato italiani. Galli dà quindi una serie di suggerimenti per un miglioramento che, a mio avviso, si possono riassumere nel rafforzamento del ruolo della Commissione europea rispetto a quello del Mes, evitando che ci siano clausole facilitanti o tali da minacciare la ristrutturazione tecnocratica del debito che non può essere decisa in base a valutazioni meccaniche, ma con il pieno coinvolgimento delle autorità politico-istituzionali nazionali per evitare danni enormi al Paese sotto scacco e a tutta l’Eurozona.

Una seconda valutazione è di Marco Buti, attuale direttore generale degli affari economici e monetari della Commissione europea e futuro capo di gabinetto del commissario Gentiloni. In un colloquio con lui mi è stato segnalato anzitutto che la riforma del trattato del Mes ha come scopo principale il suo utilizzo come rete di protezione (backstop) del Fondo di Risoluzione Unico che è una garanzia  cruciale per procedere verso l’Unione Bancaria. In secondo luogo che le modifiche del Mes rendono più chiaro ciò che ora è già in essere. E cioè che per dare assistenza ad un Stato dell’Eurozona in difficoltà ci vuole una valutazione dello sostenibilità del suo debito pubblico come condizione di ripagabilità del prestito (criterio questo che è applicato anche dal Fondo Monetario Internazionale). È questo anche un criterio che incentiva ogni Stato a essere vigile sulle proprie finanze pubbliche. In terzo luogo si dà la possibilità per il Mes di facilitare il dialogo tra un suo Stato membro e i suoi investitori privati, ma solo su base volontaria, informale, non vincolante, temporanea e confidenziale. In quarto luogo che la valutazione della sostenibilità del debito di uno Stato dell’Eurozona viene già fatta dalla Commissione nell’ambito dell’applicazione del Patto di Stabilità e che la Commissione manterrà questo suo ruolo. Perciò la Commissione in questo va sostenuta rispetto al Mes. In definitiva Buti dice che a fronte a una richiesta di Stati come Germania e Olanda che volevano automatismi di ristrutturazione del debito pubblico o di ponderazione in base al rischio dei titoli di Stato detenuti dalle banche (tra cui spiccano quelle italiane) prima di impegnare il Mes nella garanzia del Fondo di Risoluzione Unico della Unione Bancaria si è arrivati a una soluzione che non legittima l’irresponsabilità di bilancio degli Stati con alto debito pubblico, ma non li espone ai rischi della sfiducia aggressiva dei mercati. 

Due proposte 

La valutazione di Marco Buti mi sembra molto convincente ma, alzando lo sguardo oltre il dibattito odierno sulla riforma del Mes, propongo due riflessioni e proposte aggiuntive.

Una è di Pier Carlo Padoan, già ottimo ministro dell’Economia, che svolge un ragionamento in due parti. Anzitutto spiega perché la Germania abbia attenuato (abilmente) la sua posizione sull’assicurazione unica dei depositi nell’ambito della Unione Bancaria, evidenzia pregi (maggiori) e rischi (minori) dell’attuale riforma del Mes (che comunque ritiene migliorativa rispetto a punitive richieste precedenti di Stati come Germania ed altri), richiama le Istituzioni Italiane a un impegno rinnovato per la riduzione del debito pubblico. Quindi propone che la riforma del Mes venga integrata da altre componenti per la stabilità dell’Eurozona tra cui l’emissione di un “safe asset”.

L’altra è una proposta che da anni avanzo io stesso (qualche volta assieme a Romano Prodi). Premetto che il Mes è stata un’eccellente innovazione dell’Eurozona durante la crisi di inizio del decennio. In pochi anni il Mes ha fatto molto e ha una grande reputazione sui mercati dove fino ad ora si è finanziato per circa 300 miliardi di euro con scadenza e a condizioni ottime con emissione di titoli di debito che per me sono già “Eurobond” in potenza. Così ha dato assistenza a Grecia, Cipro, Portogallo, Irlanda e Spagna. Le sue potenzialità per l’emissione di altri eurobond sono molto grandi ben oltre l’attuale capacità (teorica) per ulteriori prestiti per 400 miliardi in casi di crisi di Stati membri. Ma c’è di più perché queste potenzialità possono essere aumentate se garantite dal conferimento di asset reali da parte degli Stati membri. E qui l’Italia non avrebbe problemi. Inoltre poiché lo statuto del Mes consente l’acquisto di titoli di Stato, questa diventa una variabile strategica anche per la prevenzione di crisi su debiti pubblici condizionata al rigore degli Stati assistiti. Infine il Fondo Salva-Stati diventerebbe anche il fondamento del bilancio pubblico dell’Eurozona che emette titoli eurobond e finanzia le politiche pubbliche. 

Una conclusione: euroriforme organiche

Le riforme della Eurozona “a comparti” possono essere utili, ma non risolutive. Per questo rinnovo con convinzione la mia proposta che le Istituzioni europee istituiscano un “comitato di alta consulenza” composto da Jean-Claude Juncker (Commissione), Donald Tusk (Consiglio Europeo), Jeroen Dijsselbloem (Eurogruppo), Mario Draghi (Bce) e Martin Schulz (Parlamento Europeo). Nessuno di loro ha più ruoli ma loro è un programma del 2015 per la Riforma della Eurozona. Quanto all’Italia ci vorrebbero statisti europeisti, competenti ed indipendenti, per evitare lo scivolamento verso l’America Latina. Se poi il nostro debito pubblico andasse al 160% del Pil in 15 anni, allora sarà difficile trovare un Mes che ci salvi.

L’HUFFPOST

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