Hong Kong, la polizia assalta il Politecnico: decine di arresti

Come in un castello medioevale sotto attacco, i difensori del PolyU — il Politecnico di Hong Kong — hanno bruciato nel buio il ponte pedonale vicino all’ingresso di un tunnel strategico. La polizia ha minacciato di usare pistole e fucili per costringere gli assediati alla resa: secondo l’agenzia Reuters, gli agenti hanno impiegato anche gas lacrimogeno e proiettili di gomma. Il Politecnico si era trasformato nell’ultima roccaforte degli studenti che per sei giorni hanno occupato i campus delle università di Hong Kong.

Il PolyU, roccaforte dei manifestanti

L’architettura della PolyU, con le sue mura di mattoni rossi, ne fa una fortezza naturale. Si domina l’accesso al Cross Harbour Tunnel che attraversa la baia, collegando la terraferma di Kowloon all’isola. Quando hanno visto un gruppo di civili che cercavano di togliere i blocchi dalla strada, i ragazzi si sono mossi per respingerli, ma la polizia che era appostata dietro ha lanciato i primi lacrimogeni.

Hong Kong, l’assalto della polizia al Politecnico
La guerriglia

Gli studenti si sono raggruppati dietro una siepe di ombrelli per proteggersi dal fumo del gas. Sono volate bottiglie incendiarie. Da quel momento è partita la guerriglia. I blindati della polizia hanno cercato di superare i mattoni piazzati a reticolo sulla strada, come cavalli di frisia. I mezzi blu, tozzi, si muovevano zoppicando tra le trappole messe dagli studenti del Politecnico: molotov, getti potenti dei cannoni ad acqua delle forze dell’ordine, coltrina di lacrimogeni. Abbiamo visto dei ragazzi farsi sotto, arretrare, pausa, poi di nuovo cariche spericolate.

La caserma dell’esercito cinese

Dagli «spalti» sono state usate catapulte per lanciare le bottiglie incendiarie contro la linea degli agenti. Sono state scoccate frecce con gli archi razziati dal campo sportivo e un poliziotto è stato trafitto a un polpaccio. Qualcuno ha impugnato racchette da tennis per respingere i candelotti lacrimogeni. Ma non è un gioco. Vicino al campus di PolyU c’è una caserma dell’Esercito popolare di liberazione cinese: i soldati, che sabato avevano fatto una rapida sortita in maglietta e calzoncini per togliere i detriti, ieri sono rimasti al coperto. Ma erano in assetto da azione, osservavano con i binocoligli scontri.

Gli arresti

Il timore è che la «pulizia» di sabato possa essere stata una prova d’intervento repressivo. Al tramonto un blindato è stato incendiato e l’autista lo ha guidato a retromarcia con l’equipaggio a bordo. In serata la polizia ha definito la situazione «sommossa», ha ordinato lo sgombero e minacciato l’uso delle armi contro i «rivoltosi». Quando nella notte l’assedio si è stretto, i difensori del Politecnico hanno dato fuoco a un ponte pedonale per fermare gli agenti che volevano circondarli. Sono segnalati decine di arresti, solo un nucleo di un paio di centinaia di difensori era rimasto nel campus a sfidare l’assalto finale.

La protesta permanente

Ma non finirà, neanche dopo lo sgombero di PolyU. Nell’ultima svolta minacciosa il movimento ha promesso di fare del caos permanente la «nuova normalità» di Hong Kong. Non più scontri nel weekend, com’era stato nei primi cinque mesi di protesta, ma lotta continua, ogni giorno. «Vogliamo strangolare l’economia della città», dicono i duri.

CORRIERE.IT

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