Ilva, una settimana e ancora nessuna soluzione. E la prima mediazione di Patuanelli è (quasi) un flop

È per questo che è convinto che prendersi qualche giorno in più lavori a suo favore, nella difficile opera di convincimento della maggioranza alla Camera e, soprattutto, al Senato.

Mentre il tarantino Mario Turco, sottosegretario della presidenza del Consiglio, sta facendo un sotterraneo lavoro di convincimento presso i suoi colleghi, è Stefano Patuanelli ad essersi intestato l’onere della mediazione. Il ministro dello Sviluppo economico ieri si è presentato davanti ai suoi colleghi a Palazzo Madama, con una sorta di doppio mandato. Quello di Conte di avviare una ricognizione e un’opera di ammorbidimento dei duri e puri. E quello di Luigi Di Maio, che vuole rimanere ai margini della vicenda e che sostanzialmente lo ha invitato a raccogliere le opinioni del gruppo. “Di Maio sa che non può forzare la mano su Ilva, rischia di diventare una seconda Tav”, spiega un uomo a lui vicino. Per questo la strategia è quella di muoversi passo dopo passo tenendo in considerazione quelle che saranno le determinazioni del gruppo.

“Noi allo scudo siamo contrari”, ha ribadito Patuanelli. Che tuttavia ai senatori e ai deputati ha fatto grosso modo lo stesso ragionamento fatto dal premier nel semi disastroso incontro con i parlamentari M5s della Puglia: “Siamo convinti che lo scudo sia un pretesto e non un problema. Ma qualora scongiurasse l’addio di Mittal, che facciamo, ci tiriamo indietro?”. A Palazzo Madama la montagna di oltre tre ore di assemblea ha prodotto un topolino. I senatori hanno dato mandato pieno al loro ex capogruppo a gestire la spinosissima vicenda, ribadendo l’assoluta contrarietà all’immunità penale. L’unica cosa che è riuscita a spuntare quello che è ormai il plenipotenziario della mediazione è stato un impegno a tornare dal gruppo e rimettere in discussione la decisione qualora il governo, per volontà o per necessità, dovesse procedere in tal senso. Un esito che non ha entusiasmato Conte, comunque speranzoso in una soluzione che non ha definitivamente chiuso la porta, e che invece ha soddisfatto in pieno Di Maio, che vuole allontanare il più possibile da sé da un lato le accuse di leaderismo, dall’altro l’essere additato come il responsabile dell’ennesima giravolta sul tema.

Il Senato a 5 stelle è un profluvio di veleni. Oltre a un impegno sulla decarbonizzazione e sulla velocizzazione della messa a norma, il quarto dei quattro punti su cui i pentastellati hanno concordato (con 5 astensioni in una richiesta di consenso avanzata dal capogruppo Gianluca Perilli) è stato mettere nero su bianco il fatto che in nessun caso l’Ilva debba impattare sulla tenuta del governo. “Abbiamo voluto dare un segnale di calma e stabilità – spiega uno dei presenti – Ma ti pare possibile che il capo politico se ne esca dicendo che è in gioco la crisi prima ancora di averci sentito?”. Un incrocio di rispettivi, spericolati, equilibrismi che non si sa per quanto ancora potrà reggere.

Federico D’Incà e Gianluca Castaldi, rispettivamente ministro e sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, sono gli altri 5 stelle con mandato di sondare gli umori, parlare, blandire, convincere. “Se lo scudo a tempo fosse la soluzione, ma solo in quel caso, sarebbe giusto ragionarci”, spiega il secondo. Per capire però il clima, basta sentire cosa ricostruisce un senatore i concitati giorni in cui il governo chiese di mettere lo scudo nel decreto Salva imprese. Sentiamo: “Era un giovedì o un venerdì. Venne da noi Federico (D’Incà) a chiederci se avremmo votato anche quell’articolo. Come gruppo gli dicemmo che eravamo orientati a votare l’emendamento Lezzi. Nel weekend lui e Gianluca (Castaldi) ci mandarono diversi messaggi. Poi lunedì Federico tornò e ci disse: ‘Dobbiamo mettere la fiducia’. Anche sull’immunità? Allargò le braccia e disse sì. In quel momento Airola si alzò e lo attaccò, anche personalmente, e lui zitto. Poi gli disse che questi erano ricatti belli e buoni, e che per lui poteva anche cadere il governo. Molti erano con lui. Poi scrisse qualcosa su un bigliettino, glielo poggiò sul tavolo e gli disse: ‘Ecco, questo è il mio vaffa, lo puoi portare al capo politico’. Non so se ci capiamo. Sul tema, in tanti, stanno ancora lì. E non solo tra chi firmò il famigerato emendamento”.

Il racconto parla da solo. Eppure la compagine pentastellata di governo è convinta di poter ribaltare il tavolo. Conte in primis, in questi giorni a Venezia per l’inondazione, che continua a predicare calma mentre si rincorrono voci (smentite) di incontri di Patuanelli con i commissari e di decisioni già prese sullo scudo. Il premier invita a tenere i nervi saldi, non ha nulla in mano, ma è convinto con un po’ di tempo di potersi riprendere in mano la maggioranza. Almeno quella.

L’HUFFPOST

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