Ilva, per Mattarella è in gioco tutto il sistema industriale: bisogna fare in fretta

Richieste, quest’ultima in particolare, che l’inquilino di Palazzo Chigi ha respinto — in attesa di un nuovo confronto dall’esito comunque prevedibile — essendo consapevole di quale «bomba sociale» si innescherebbe nel Mezzogiorno, e non soltanto lì.

La mancanza di una legge

Lo sa Conte e lo sa il capo dello Stato. Al quale naturalmente non spetta di «fare la sintesi e indicare le soluzioni», perché «questo tocca alla politica», ma che resta in allarme anche per come si è gestita la partita negli ultimi anni, da parte di diversi esecutivi. Dubbi ne ha parecchi, Mattarella. A partire dal fatto che si sia focalizzata l’attenzione sullo scudo giudiziario. Il suo ragionamento è che in quella maniera si è perso di vista la questione vera, che sono i 10 mila e più occupati. Ma non basta. Per il Colle, infatti, il problema di quest’Italia bloccata è di creare le condizioni — generali e specifiche — affinché le imprese nazionali, oltre a quelle straniere, investano nel Paese. E per riuscirci, è la sua costante segnalazione, serve un clima di stabilità e di certezze normative. Questa è la sfida ricordata dal presidente a Conte, sfida cui per forza di cose si lega l’occupazione. Altro che scudo, per quanto fosse giusto rimetterlo per togliere pretesti di fuga ai dirigenti di Arcelor Mittal. E sul rebus di Taranto, senza addentrarsi nei negativi calcoli di redditività compiuti dai manager, condivide la diffusa opinione che la mancanza di una legge adeguata abbia avuto un peso nel passo indietro aziendale. Al pari di tanti altri, Mattarella è rimato colpito, per esempio, dalla contraddittoria sequenza dei decreti legge ad hoc (da quello contenuto nel decreto crescita all’ultimo, risalente al 3 settembre, quando la crisi politica era ancora aperta) e dei successivi emendamenti mirati che si sono succeduti nei mesi scorsi. Con il risultato che il governo si è schizofrenicamente smentito, interferendo nella vertenza Ilva.

Dritti al voto

C’è di più. La fumata nera sui destini dell’acciaieria si associa come ulteriore elemento intossicante nel clima di alta tensione che lacera la maggioranza. Nell’incontro al Quirinale il premier ha riassunto i termini dell’ultimo scontro — «assai duro», ha spiegato — andato in scena l’altra sera, durante il Consiglio dei ministri. Ormai, fra i partner di governo è lite permanente. Ciò che materializza ombre di crisi, proprio mentre è in gioco una legge di Bilancio tra le più difficili. I «sensori» di cui Mattarella dispone in Parlamento non hanno potuto sciogliere l’enigma su dove i partner gialloverdi intendano sul serio andare. Conte punta a resistere a oltranza. Mezzo Pd (abbondante) sembra orientato a rompere, per paura di pagare un prezzo troppo alto a questa alleanza. Il Movimento 5 Stelle è alle prese con una feroce resa dei conti interna. E Renzi è come sempre indecifrabile sulle proprie intenzioni. Tutti sanno però che se l’esecutivo dovesse cadere, magari per un incidente di percorso, il Colle non tenterà di costruire alternative. Né tecniche, né istituzionali. Si andrà dritti al voto.

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