E al Nazareno si sussurrò: “Magari si votasse”

E allora, siamo sempre allo stesso film, di un governo mai compiutamente nato, prigioniero del gioco interno ai Cinque stelle, e in cui, a questo punto, praticamente non crede più nessuno, pasticcio dopo pasticcio. Talvolta la mancanza di politica è compensata da abilità comunicative, ma non è questo il caso: sulla finanziaria ormai è percepito come “il governo delle tasse” e sull’Ilva, se non si corre ai ripari, come il becchino di un cimitero industriale. E c’è un motivo se quella vecchia volpe di Dario Franceschini, in più di un’occasione ha detto a qualche collega : “Se andiamo avanti così, si va a sbattere”. Un disegno per “farlo cadere” al momento non c’è, ma c’è un umore diffuso per cui viene percepito, proprio dal grosso del Pd, come una trappola mortale.

A dare la sensazione di questo “umore” anche l’atteggiamento di Zingaretti, la cui lealtà è pari al suo disincanto, perché qui non è questione di chi stacca la spina, cosa che, così pare, non farà nessuno, è proprio questione di mancanza di elettricità. Non sarà il segretario del Pd a farlo cadere, ma certo non sarà colto dalla disperazione se questo dovesse accadere. È quel che, ad esempio, ha detto Paola De Micheli, nel corso di una riunione a Fincantieri, in un momento di esasperazione: “Se l’andazzo è questo, ogni giorno che passa è un voto in più a Salvini”. E il risultato è che, dopo due mesi, la Lega ha tanti consensi quanto Pd e Cinque stelle sommati, come certificato dall’ultimo sondaggio di Pagnoncelli che al Nazareno è stato accolto con un “magari si votasse”.

Osservatelo, il cambio di registro pubblico del Pd, iniziato con il comunicato del “toc toc” di Zingaretti fino alla De Micheli che parla di “leggerezza del governo sulla manovra”. Sembra di essere tornati in piena era gialloverde, in cui il governo cessa di essere il terreno di una sintesi comune e diventa un campo di battaglia. Dal tentativo, già abortito, di una alleanza politica allo schema del “a brigante, brigante e mezzo”: “Beh – spiegano al Nazareno nello staff del segretario – se la logica è ‘ognuno fa come diavolo gli pare’, facciamo capire che pure noi ci siamo stufati”.

Chi ha dimestichezza con la politica sa che il clima conta. Ed è il pericolo avvertito da Roberto Speranza, che a margine dell’ultimo cdm ha detto a qualche collega: “Se qualcuno pensa di andare a votare dopo una manovra gestita male è da Tso. Questa operazione ha senso se dura tre anni, altrimenti, se ci spaventiamo alla prima curva, era meglio andarci a settembre”. Arrivarci a tre anni. Lo ha capito anche Conte, che ormai ha preso l’abitudine di confidarsi con i ministri del Pd: “Se non ci foste voi sarei isolato”. Il problema è che di curva ce n’è, a breve, una seconda in grado di far deragliare la macchina. C’è poco da fare: il 26 gennaio, giorno del voto in Emilia e Calabria, è il giorno della verità sul governo. In caso di sconfitta, è complicato andare avanti. Ed è complicato anche che possa reggere il gruppo dirigente del Pd. È questo il punto. E Franceschini ha iniziato a sentire una strana aria, perché sa, da vecchio democristiano, che i comunisti, posti di fronte a un bivio esistenziale, tra partito e governo, scelgono il partito. E tra vivere, ripartendo dall’opposizione, o morire nelle stanze dei bottoni, preferiscono vivere. Ecco, questo è il clima.

L’HUFFPOST

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