Gli annunci e gli italiani nel ballo della pressione fiscale percepita

Auto aziendali, chi pagherà di più

di Mario Sensini

Nelle settimane appena trascorse abbiamo assistito a un andirivieni di misure. Nel caso degli affitti, la cedolare secca era previsto, secondo un provvedimento dei precedenti governi, che aumentasse al 15%. L’esecutivo decide in prima battuta di farla salire solo al 12,5%. Parte il dibattito, a vertice segue vertice. Risultato: la cedolare secca resta al 10%, per fortuna. Rimane però il sospetto che prima o poi il rincaro arriverà. Vicenda ancora in evoluzione per la tassa sulle auto aziendali. A esserne colpiti sono circa due milioni di dipendenti di società private. L’imposta sul valore dell’uso personale delle vetture aziendali oscillerà tra il 30 e il 100% non escludendo vie di mezzo, al 60%.
Manovra 2020

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Viene introdotto il principio in base al quale più inquini più paghi. Sembra che a esserne colpite a strascico saranno tutte le auto. Ma arriva poi l’esclusione di quelle ibride e elettriche. Rimane sconosciuto il destino di quelle alimentate con altri combustibili. Comunque vada a finire, a giudicare dai milioni di lettori su Corriere.it che hanno cercato di capire in questi giorni come funzionasse questa nuova imposta, la tassa è stata già in parte pagata in termini di confusione, perdita di tempo. Con in più la sensazione di una grave incertezza che rende difficile qualsiasi scelta di consumo e investimento da parte del cittadino come dell’impresa. Se poi rispondesse a verità il fatto che a proporre l’imposta sia stato un viceministro dell’Economia contro il parere del ministro titolare, il già poco comprensibile quadro si completerebbe. legge di bilancio

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È vero che non si può pretendere un percorso lineare da un governo che è nato sostanzialmente da due forze che hanno continuato a insultarsi fino a poche settimane prima. Ma come spesso è accaduto in questi ultimi due anni quello che emerge è una improvvisazione del governare, quale che siano le forze coinvolte nella maggioranza. In quest’ultima maggioranza poi fa capolino una filosofia di fondo: usare le imposte come strumento di indirizzo al Paese. Persino per agevolare comportamenti virtuosi. Tale è la tassa sulle bevande zuccherate. Posto che sia giusto il messaggio che lo zucchero faccia sempre male, è difficile credere che l’unica strada perseguibile sia quella punitiva delle imposte. Analogo ragionamento può essere fatto per la tassa sulla plastica. Quasi impossibile far diradare il sospetto che si tratti in realtà di scorciatoie per aumentare le entrate del bilancio dello Stato. Sia nel caso delle tasse sulle auto aziendali, sia nel caso della plastica, la mancanza di coerenza emerge dalle scelte stesse del governo. Si carica di imposte un settore, come quello della mobilità, mentre al ministero dello Sviluppo economico si apre un tavolo per affrontare la crisi del settore auto. Si introduce una tassa sulla plastica, teoricamente pagata dalle imprese ma che in realtà si scaricherà a cascata sui consumatori, mentre si dice di essere impegnati nell’agevolare la crescita del Paese.

Non aiuta il cannoneggiamento delle misure che arriva da ogni angolo dello schieramento politico. Da quell’opposizione che non si è fatta scrupolo di aggravare i conti dello Stato presenti e futuri con misure come Quota 100 o il reddito di cittadinanza. Come pure da parte di chi teoricamente partecipa a pieno titolo ai vertici nei quali si decidono i provvedimenti con capidelegazione di partito, ministri e viceministri. Il male oscuro della competizione, della campagna elettorale permanente sta divorando la capacità e la possibilità di amministrare il Paese. Giuste o sbagliate che siano le misure, è la «tassa percepita» dell’incertezza quella più pesante che si possa far pagare a cittadini, famiglie, imprese. E non si senta assolto chi oggi è all’opposizione ma ieri era al governo. Né, tantomeno, chi oggi è maggioranza.

CORRIERE.IT

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