Governo, la notte in cui stava per rompersi il patto Pd-M5S

Cosa aveva provocato la reazione del ministro della Cultura, teorico dell’accordo tra il Pd e M5S? Era appena stato trovato un compromesso su Radio Radicale, che subito era divampato un altro scontro su un fondo di venti milioni per la lettura dei giornali nelle scuole: risorse che il sottosegretario all’Editoria Martella aveva ricavato con il risparmio su altre voci. «Per noi è inaccettabile», aveva tagliato corto il leader del Movimento: «Questa è una forma surrettizia di aiuto di Stato. Così si reintroducono i contributi. I giornali si affidassero al mercato. Se vendono meglio per loro, altrimenti…».

In principio era sembrato che il problema fosse di natura economica, una visione diversa sull’uso delle risorse pubbliche. Perciò il capo delegazione del Pd aveva esortato l’interlocutore a guardare il tema da un’altra prospettiva: «L’obiettivo è stimolare la lettura. Si tratta di promuovere cultura». Ma proprio lì, dove Franceschini aveva immaginato di costruire un ponte, Di Maio aveva scavato un fossato: «I giornali non vanno diffusi nelle scuole. Se vogliono, se li comprano. E poi che fanno: li leggono in classe?».

Il resto della discussione è la rappresentazione di due mondi e due modi di vedere le cose. «Luigi, per noi che si leggano i giornali nelle scuole è un valore». «Eh no, Dario. Dietro i giornali ci sono gruppi d’interesse che pretendono di incidere sulle scelte del Paese». «Sui giornali non ci sono solo articoli di politica, ci sono anche le pagine di cultura». «Con i giornali ci attaccano». «Attaccano anche noi, si chiama libertà di stampa. Voi volete solo i social». «Noi non vogliamo dare finanziamenti pubblici». «Fammi capire, sei anche contro l’aiuto ai libri?».

No, non è stato un diverbio di natura economica, altrimenti Franceschini non avrebbe urlato «se volete che si apra la crisi, apriamola». Certo, alla fine tutto è rientrato: Di Maio ha accettato il fondo, dopo essere rimasto isolato. A fronte del silenzio enigmatico del sottosegretario alla presidenza Fraccaro, infatti, tutti gli altri si sono schierati: dalla renziana Bellanova al ministro di Leu Speranza, che ha definito l’informazione «un pilastro del nostro sistema democratico». E pure Conte — che era stato avvertito e voleva anzitutto preservare i giornali diocesani — ha difeso il pacchetto sull’editoria, davanti all’impegno di Martella di portare a compimento la riforma del settore.

Ma la vicenda, al di là delle successive transazioni sulle tabelle della Finanziaria, al di là dei soldi per i vigili del fuoco che Di Maio ha chiesto e ottenuto, rende l’idea di quanto sia complicato conciliare due differenti concezioni della democrazia sul tema sensibile dell’informazione. È vero, ci fu a sinistra chi teorizzò che i giornali andassero «lasciati in edicola», solo che — rispetto ad allora — il disegno dei grillini si è affinato. Mira ad affermare la logica della «disintermediazione», neologismo dietro il quale si cela l’obiettivo di stringere un rapporto diretto con l’opinione pubblica attraverso la Rete. Facendo a meno della stampa. Come ha raccontato Tommaso Labate sul Corriere, anche il Pd sta costruendosi la propria piattaforma Rousseau e i suoi meet-up, ma «ci sono valori — ha spiegato Franceschini al vertice — sui quali non intendiamo negoziare». E sono quei venti milioni a far capire come, almeno per ora, democratici e grillini siano la «coalizione degli opposti».

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