Bocciato il Governo in Umbria

È vero, l’Umbria da anni non è più una regione rossa. Dopo una vittoria di misura nel 2014, il centrosinistra in questi anni ha perso le principali città, da Perugia a Terni, da Orvieto a Foligno, ed è all’opposizione nel 65 per cento dei comuni. Ed è vero che lo scandalo sulla sanità, peraltro denunciato proprio dai Cinque stelle, ha rappresentato un handicap. Ma è anche vero che molto spesso le nuove linee di tendenza “nazionali” sono in grado di invertire quelle “locali” quando sono convincenti e aprono una prospettiva. Ecco, il punto politico è che questa volta non è accaduto, anzi è accaduto l’opposto: sessanta giorni di governo senza passione, identità e connessione sentimentale, ritrovatosi assieme nell’improvvisata foto di Narni dopo settimane di tregenda sulla finanziaria, tutto questo ha sepolto il cosiddetto “modello Umbro”.

Basta incrociare due dati. Il primo: alle Europee del 26 maggio il centrodestra, nel suo insieme, era al 51 per cento, il centrosinistra e i Cinque stelle al 45, sei punti; questa forbice, è aumentata di 20 punti. Il secondo: alle europee la somma di Pd (25%) e M5s (14%) era al 39%, ora è circa dieci punti in meno (Pd al 21,3%, M5s all’7,6%). Dunque la somma non fa il totale, come sempre nelle operazioni politiche che non funzionano. Il Pd più o meno tiene, considerata anche la scissione subita; il Movimento conferma invece un declino inesorabile, che tanto assomiglia a una crisi identitaria e strutturale che va ben oltre questa tornata elettorale. Guardate i dati. Alle politiche, proprio in Umbria, conquistò il 27.5 per cento, alle europee la metà (il 14), dopo cinque mesi la metà delle europee (7,6) sotto la soglia psicologica del 10. In un anno e mezzo (e il cambio di governo) ha perso tre quarti dei propri voti.

Insomma, alle prime elezioni dopo la crisi di agosto e la nascita del nuovo governo l’elettorato non è rimasto a casa, ma è andato a votare quell’avversario politico, il cui essere un “pericolo” è stato vissuto come un collante nel Palazzo ma viene ancora vissuto nel paese come un vettore di cambiamento. Nonostante non stia più al governo e al Viminale. Il patto civico non ha funzionato e, finora, non ha funzionato l’argine governativo tirato su a Roma, con tutte le sue fragilità. L’Umbria consegna l’immagine di un governo all’opposizione del paese. Non un “nuovo inizio”, ma un nuovo capitolo di una “morte lenta”, incapace di invertire l’onda sovranista che avanza nel paese.

È chiaro che il Conte due va avanti. Ma ciò che è entrato in discussione, con la nota del blog delle stelle, è il tentativo di trasformare l’alleanza che sostiene Conte in una compiuta e strategica alleanza politica. Sono parole che chiudono una fase e terremotano l’impianto strategico su cui ha puntato il Pd, destinate a rendere più complicata la gestione delle prossime regionali in Calabria ed Emilia Romagna. Ma destinate anche a rendere più incerto il proseguo dell’attività del Conte due. Se il governo non è l’incubatore di una prospettiva comune, di un lavoro comune, della ricerca comune di una strada nuova, il rischio è che diventi solo il litigioso terreno di forze il cui unico collante è il tirare a campare “sennò arriva Salvini”. Dice Renzi che “Conte non ha il tocco magico” e l’alleanza non ha funzionato. Dice Di Maio che l’esperimento è fallito. Solo il Pd conferma la sua buona volontà confermandosi il “partito della responsabilità”. Alternative al rimanere assieme per ora non ce ne sono, ma si entra in una situazione di incertezza.

L’HUFFPOST

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