La macchina della verità umbra

Ecco, l’evento di Narni è una novità politica, anche se vissuta con accenti diversi, parole diverse, sorrisi e posture diverse: con grande slancio da parte di Nicola Zingaretti e Roberto Speranza, più convinti della necessità di trasformare questa alleanza in una compiuta coalizione politica, con malcelato distacco da parte di Luigi Di Maio, piuttosto imbronciato nei panni del “frenatore” di questa prospettiva e freddino con Conte, con compiacimento dal premier perché pensa che la costruzione della sua leadership passa per la “politicizzazione” dell’alleanza e non più per il suo essere “terzo”. E, nell’evento odierno, non è secondaria neanche la coesione mostrata sulla manovra, soprattutto dopo spettacolo dell’ultima settimana, con una approvazione “salvo intese” e una riscrittura dopo pochi giorni a causa della tensione tutta interna al Movimento, tra il capo politico e l’inquilino di palazzo Chigi. Se alle parole seguiranno comportamenti conseguenti, dovremo aspettarci, in Parlamento, un percorso più lineare rispetto a quello vissuto finora.

Proprio nel timing dell’ultimo momento e nella sua estemporaneità c’è tuttavia una buona dose d’azzardo. Parliamoci chiaro: più che il “chi”, nelle elezioni di domenica, conterà il “come” perché la vittoria di Salvini sembra essere piuttosto scontata. E non solo per il modo in cui si è andati al voto, dopo che la giunta del Pd è stata travolta dagli scandali. Ma per un trend di lungo periodo. Già nel 2014 quando la Lega non era a due cifre, il centrodestra perse per soli 13mila voti, poi negli anni successivi ha conquistato tutte le roccaforti urbane, da Perugia a Terni, da Orvieto a Todi e adesso governa due terzi di comuni locali. Una vittoria della coalizione Pd-M5s sarebbe, in questo quadro, pressoché un miracolo. Il rischio è che l’esito elettorale possa sporcare l’immagine unitaria costruita l’ultimo giorno o, peggio, di colpirlo al cuore. Dipende dal “come”.

C’è un numero che, domenica notte, testerà la tenuta dell’esperimento, ed è “quota 39”, ovvero la somma dei voti raccolti alle Europee dal Pd (25 per cento) e dal Movimento (14 per cento, ben lontano dai fasti delle politiche). È in questa macchina della verità che ciò che oggi appare come un retropensiero malizioso diventerà dinamica politica. La non presenza di Renzi (o dei suoi) a Narni è un modo per differenziarsi dalla sconfitta e nella sconfitta, separando la collaborazione di governo dall’alleanza strategica Pd-Cinque stelle, come ha spiegato alla Leopolda. E c’è il rischio che un esito non entusiasmante del Movimento possa dar fiato alle trombe di coloro che questo abbraccio col Pd l’hanno subito e vogliono un ruolo più autonomo, secondo uno schema speculare a quello di Renzi per cui un conto è il governo altro è la costruzione di una alleanza politica. Non è un dettaglio che l’accelerazione, proprio all’ultimo giorno, per scattare una foto tutti assieme sia arrivata proprio da Luigi Di Maio, il più riottoso. È lui che ha fatto in modo che Conte ci mettesse la faccia, dopo esserne stato alla larga. Inevitabilmente anche il premier starà dentro il risultato, non “terzo” rispetto alla sconfitta. Ecco, il rischio è questo.

L’HUFFPOST

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