Italiani nel mondo: in 13 anni oltre 2 milioni in più si sono spostati all’estero



Le cifre. Su un totale di oltre 60 milioni di cittadini residenti in Italia a gennaio 2019, alla stessa data l’8,8 per cento è residente all’estero. In termini assoluti, gli iscritti all’Aire  aggiornati all’1 gennaio 2019, sono 5.288.281. Il 48,9 per cento degli italiani iscritti all’Aire è originaria del Meridione d’Italia (di cui il 32 per cento Sud e il 16,9 per cento Isole); il 35,5 proviene proviene dal Nord Italia (il 18 per cento dal Nord-Ovest e il 17,5 per cento dal Nord-Est) e il 15,6 per cento dal Centro.

Le italiane iscritte sono 2.544.260 (48,1 per cento). La classe di età più rappresentata è quella di coloro che hanno tra i 35 e i 49 anni (1.236.654, cioè il 23,4 per cento). A seguire chi ha tra i 18 e i 34 anni (1.178.717; 22,3 per cento), gli over 65 anni (1.068.784; 20,3 per cento) e chi ha tra i 50 e i 60 anni (1.009.659; 19,1 per cento). I minori sono 794.467 (15 per cento). Il 55,9 per cento è celibe o nubile mentre il 36,7 per cento è unito in matrimonio. Meno di mille, quindi irrilevanti dal punto di vista percentuale, sono le unioni civili.

Più della metà (51,5 per cento) è iscritto all’Aire per espatrio, ma continua la crescita degli iscritti per nascita (39,7 per cento). Le acquisizioni di cittadinanza sono il 3,4 per cento, le reiscrizioni per irreperibilità il 4 per cento. Il 43,9 per cento è iscritto da oltre 15 anni, il 20,7 per cento da meno di 5 anni. Oltre 2,8 milioni (54,3 per cento) risiedono in Europa, oltre 2,1 milioni (40,2 per cento) in America. Nello specifico, però, sono l’Unione Europea (41,6 per cento) e l’America Centro-Meridionale (32,4 per cento), le due aree continentali maggiormente interessate dalla presenza dei residenti italiani. Le comunità più consistenti si trovano, nell’ordine, in Argentina (quasi 843 mila), in Germania (poco più di 764 mila), in Svizzera (623 mila), in Brasile (447 mila), in Francia (422 mila), nel Regno Unito (327 mila) e negli Stati Uniti d’America (272 mila).

Le motivazioni. Secondo il rapporto le storie di chi emigra sono spesso caratterizzate da progetti non ben definiti, con situazioni che mutano a velocità impensabili per i motivi più disparati: la nascita di un figlio, il sopraggiungere di un problema di salute, una promozione di carriera, una opportunità lavorativa, ecc. Le cause possono essere plurime e molto differenti tra loro. Ecco perché, sempre secondo la Fondazione Migrantes, “non vale più la strategia del ‘per sempre’ come quando si sfidava l’oceano e dopo infiniti giorni di navigazione si giungeva dall’altra parte del mondo e ci si rimaneva per lunghissimi anni (se non definitivamente) prima di ripercorrere faticosamente e rischiosamente la strada del ritorno in patria. Oggi, invece, si cambia più volte destinazione e Paese di residenza e non solo perché ci si muove liberamente in uno spazio più ampio, l’Unione Europea, ma anche e soprattutto per la maggiore libertà di movimento data dalla contrazione dei tempi degli spostamenti e dall’avvento dei mezzi di viaggio più veloci e meno costosi, che hanno aperto la possibilità dello spostamento per molte più persone e per una “fetta” di mondo più vasta”.

L’impoverimento del Meridione. L’emigrazione consistente dal Sud Italia ne accresce i problemi perché, sottolinea il Rapporto, si tratta di persone con un livello di istruzione medio-alta, quindi persone sulle quali il nostro Paese ha investito in termini di educazione e formazione. “Se negli anni successivi al Secondo dopoguerra i flussi migratori verso le regioni centro settentrionali erano prevalentemente costituiti da manodopera, proveniente dalle aree rurali del Mezzogiorno, nell’ultimo decennio mediamente il 70 per cento delle migrazioni dalle regioni meridionali e insulari verso il Centro-Nord sono state caratterizzate da un livello di istruzione medio-alto – si legge nel report – Cedendo risorse qualificate il Mezzogiorno ha ridotto le proprie possibilità di sviluppo, alimentando ulteriormente i differenziali economici con il Centro-Nord”.

Nuovi italiani ed emigrazione. Il rapporto analizza anche gli spostamenti degli stranieri che, arrivati in Italia e ottenuta la cittadinanza, si sono poi trasferiti altrove. Negli anni tra il 2012 e il 2017, degli oltre 744 mila stranieri divenuti italiani sono quasi 43 mila le persone che hanno poi trasferito la residenza all’estero; il 54,1 per cento (oltre 13 mila) di questi solo nel 2016. I nuovi italiani hanno una differente propensione all’emigrazione a seconda del paese di cui sono originar: è alta la quota di emigrati italiani di origine brasiliana, con oltre 28 emigrati ogni 100 acquisizioni, con uno squilibrio di genere a favore degli uomini (oltre 36 trasferimenti ogni 100 acquisizioni per gli uomini e poco più di 22 per le donne). Anche le comunità del subcontinente indiano sono particolarmente mobili e tra queste la prima è quella del Bangladesh, con più di 21 emigrazioni ogni 100 acquisizioni di cittadinanza,  seguita dal Pakistan con quasi l’11 per cento e India con il 8,9 per cento. I paesi del subcontinente indiano si distinguono anche per una maggiore propensione delle donne rispetto agli uomini a emigrare successivamente all’acquisizione della cittadinanza.

Emigrati italiani e pregiudizi. Dopo aver dedicato le ultime edizioni ai territori regionali di partenza, alle città di approdo, ai principali paesi di destinazione della neo-mobilità giovanile italiana, quest’anno il Rapporto introduce una novità sostanziale con il tema dello Speciale 2019: “Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiudizi all’amore per il made in Italy”. Per illustrare stereotipi e pregiudizi che hanno accompagnato il migrante italiano nel tempo e in ogni luogo si fa perciò riferimento ai termini spregiativi usati in passato per indicare gli italiani: da “Dago” (da dagger = pugnale) per indicare che attaccavano briga e risolvevano le questioni a colpi di coltello, a “WoP” (Without Papers) cioè illegali; ancora “Greaseball”, palle di lardo perché mangioni e, ancora, Maccaroni, Rital, sfruttatori, mafiosi.

Attraverso analisi sociologiche e linguistiche, aneddoti e storie, il Rapporto fa riferimento al tempo in cui erano gli italiani a essere discriminati, risvegliando “il ricordo di un passato ingiusto – spiega il testo – non per avere una rivalsa sui migranti di oggi che abitano strutturalmente i nostri territori o arrivano sulle nostre coste, ma per ravvivare la responsabilità di essere sempre dalla parte giusta come uomini e donne innanzitutto, nel rispetto di quel diritto alla vita (e, aggiungiamo, a una vita felice) che è intrinsecamente, profondamente, indubbiamente laico”. La Fondazione Migrantes auspica che questo studio possa “aiutare al rispetto della diversità e di chi, italiano o cittadino del mondo, si trova a vivere in un Paese diverso da quello in cui è nato”.

La presentazione. Alla presentazione del Rapporto sono intervenuti monsignor Guerino Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes e la curatrice Delfina Licata. Interventi anche di Roberto Rossini, presidente ACLI; monsignor Stefano Russo, segretario generale della Conferenza episcopale italiana; Giuseppe Provenzano, ministro per il Sud e la Coesione territoriale, con la moderazione di Paolo Pagliaro. Le conclusioni sono affidate a David Maria Sassoli, presidente del Parlamento Europeo.

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