Amici inglesi, non vi sopporto più

Oggi il Parlamento si è riunito per la prima volta di sabato dal 1982, epoca della guerra delle Falklands, per approvare l’accordo che Boris Johnson aveva riportato fresco fresco da Bruxelles. Un abominio, rispetto alle condizioni vantaggiose di cui il Regno Unito gode rimanendo membro dell’Unione europea, ma anche una soluzione e potenzialmente l’inizio di una fase nuova, se si considera il fatto che la Brexit è stata votata e che neppure il Labour è riuscito a fare campagna per revocarla. Solo i LibDem, guidati da una donna giovane, simpatica e leale, Jo Swinson, sono apertamente a favore dell’Europa. Ma invece di elogiarla, i trolls laburisti le riservano attacchi misogini e violentissimi, veramente inquietanti in un paese in cui una deputata è stata uccisa nel 2016. E poi i LibDem non hanno una grande forza in parlamento e anche se stanno crescendo, non saranno mai maggioranza. Con l’eccezione di qualche enorme manifestazione a Londra, il paese nel suo insieme non ha dato grandi segni di non volere la Brexit. Il problema è che non ha dato neppure grandi segnali di volerla. 

Mi rendo conto che non li sopporto più. 

La Brexit è una tragedia in quaranta atti, uno per ogni mese da quando è stata votata. E non se ne vede la fine. C’è la tragedia dell’insicurezza che ha tagliato le gambe al business. Esco di casa e passo davanti al relitto di un grande ristorante francese un tempo sempre pieno, chiuso da poco: non ce l’hanno fatta e per me è un bel problema, perché ci portavo a pranzo le fonti senza spendere troppo. Un’amica mi parla al telefono della sua attività in chiusura, sempre per via della Brexit, e di come la ristorazione sia in ginocchio: notizia devastante, il suo bar era la mia seconda casa. Il padre di un amichetto di mia figlia mi racconta di babysitter che chiedono 18 sterline all’ora, tanto ormai il mercato lo consente, non c’è più concorrenza come un tempo. La sterlina è debole, il mercato immobiliare paralizzato, anche chi deve cambiare la cucina aspetta la fine del mese. Mica per la busta paga, ma per capire cosa ne sarà di questa povera isola la notte di Hallow’een, quando scherzetto o dolcetto, si uscirà o si rimarrà. 

La tragedia è politica e ha già fatto fuori due primi ministri. Il terzo, Boris Johnson, non ha nessuna intenzione di soccombere, ma i deputati hanno così poca fiducia in lui che hanno approvato un emendamento per costringerlo a far votare la legislazione secondaria dell’accordo raggiunto sulla Brexit prima di dare il via libera all’accordo stesso. Per quanto io possa essere esasperata oggi – scarto un altro cioccolatino, prendo anche un paracetamolo per il mal di testa – ammetto che sono necessarie tutte le precauzioni possibili contro un premier che ha ingannato la regina, cercato di chiudere il parlamento per cinque settimane e che è circondato da politici assai infidi come quelli dello European Research Group, che detto così sembra un centro studi anche se in realtà si sono limitati a teorizzare il no deal con la mannaia. Con questa cricca al potere, neanche davanti a un accordo firmato con Bruxelles il Parlamento si è fidato che Johnson non avrebbe portato al no deal, e questo la dice lunga sullo stato delle cose. Inoltre anche nei giorni passati, quando intorno all’accordo spirava una brezza di ottimismo, non mi usciva dalla testa che prima o poi i deputati si sarebbero vendicati del trattamento subito (poi sarà la volta dei giudici e, chissà, magari anche della regina): si sono vendicati oggi, in un sabato di sole, rompendo le uova nel paniere al biondo premier. 

La Brexit è una tragedia sociale: in questi tre anni e mezzo le strade delle città britanniche hanno visto aumentare tanto sia gli accoltellamenti tra bande rivali di giovanissimi che la presenza di senzatetto, spesso giovanissimi anche loro. La settimana scorsa ho visto una ragazza che aveva appena compiuto 18 anni davanti alla metro, le ho parlato un po’ e le ho dato dei soldi, poi è arrivata una signora più preparata di me sul mondo delle charities e se n’è occupata lei. La ragazza era bianca, carina e così giovane da commuovere tutti. Per gli altri deve essere ancora più difficile. Non basta abituarsi a quel modo tutto inglese di non guardare in faccia il prossimo per ignorare che a questa società inizia a mancare un pezzo e che il tema dell’uscita dalla Ue sta occupando troppo spazio politico. 

 Tra gli amici giornalisti ci capiamo. Sono anni che saltiamo appuntamenti, feste, cene, giornate con i figli in attesa di una svolta che non arriva, di una storia che non sa trovare una parola fine. Vorremmo un lieto evento finale, ma a questo punto ci basterebbe un finale qualunque. In tanti mi chiedono se voglio tornare in Italia e io rispondo sempre che no, che voglio seguire la mia storia fino in fondo, che da giornalista non posso lasciare un grande fatto storico a metà e che anche da scrittrice, dopo aver fotografato la Londra pre-referendaria nel mio primo romanzo, Città irreale, sono curiosa di vedere cosa ne verrà fuori appena si passerà al prossimo capitolo. Soffrirei a vedere il paese raccontato da altri, l’amore per tutte le cose britanniche è intatto, la fiducia per il futuro assoluta, la voglia di vedere le evoluzioni di un paese che ha preso una strada così assurda incontenibile. 

E’ solo che oggi, sabato 19 ottobre, giorno campale dell’ennesimo voto storico finito in un pugno di mosche, non li sopporto più. 

L’HUFFPOST

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