“Ora dobbiamo dare un’anima a questo Governo”. Intervista a Giuseppe Provenzano

Lei è ministro per il Mezzogiorno. Mi pare che sul Sud c’è poco o niente, o sbaglio?

Alla Legge di Bilancio affiancheremo il Piano per il Sud. Da giorni con Conte siamo al lavoro. Il messaggio deve essere chiaro: basta con la contrapposizione, è anche interesse del centro-nord investire al sud, avviare il motore interno dello sviluppo.

L’ennesimo piano?

Gli ingredienti sono semplici, rilancio degli investimenti pubblici e privati. Rifinanziare il credito d’imposta per investimenti, avviare un fondo per la crescita dimensionale delle imprese e per il trasferimento tecnologico.

Senza fondi?

I fondi ci sono. Abbiamo miliardi non spesi, da riprogrammare per infrastrutture ambientali e sociali. La sfida è far arrivare direttamente agli Enti locali, con procedure standardizzate, le risorse. Perché non basta mettere a bilancio gli investimenti, la sfida è realizzarli prima che il Sud si sia svuotato dei suoi giovani.

Va bene, il clima è cambiato in meglio: le aggiungo che nessuno si affaccia dai balconi a dire che è abolita la povertà. Detto questo, la manovra è di fatto la copertura dell’Iva e poco altro. Le chiedo: sull’Iva, dove ci sono state tensioni, lei è sicuro che non sarà necessaria una rimodulazione?

Nel complesso l’aumento dell’Iva ricadrebbe sui redditi medio bassi, peserebbe più al Sud, frenerebbe ancora i consumi, sono certo che le clausole verranno disinnescate. Le aggiungo che non mi sarei scandalizzato se fosse aumentata sui tartufi o altri beni di lusso per alzare ancora di più le buste paga dei lavoratori, il cosiddetto cuneo.

Questo però dopo che sia Renzi sia Di Maio hanno alzato la tensione sul punto.

Le assicuro che l’aumento è stato escluso da tutti e la polemica di ieri è del tutto inventata.

Sta dicendo che i renziani l’hanno creata sul nulla? L’ipotesi di rimodularla c’era.

Capisco che qualcuno vuole “vivacizzare” la dialettica nel governo e, in fondo, era prevedibile questo atteggiamento di alcuni: come si dice dalle mie parti, chi va per questo mare questi pesci piglia… Ma siamo seri: Il caso Iva non c’è stato. Come non c’è un caso Ius Culturae, dove Pd e M5s hanno condiviso una posizione di civiltà.

Anche lei, come Zanda, sta lanciando un warning sulle tensioni di questi giorni?Se uno tira troppo la corda da una parte e uno dall’altra, la corda alla fine si spezza.

Guardi, c’è un accordo di programma a cui tutte le forze politiche di maggioranza, a prescindere dalle vicende partitiche, di corrente o personali, sono vincolate. Suggerisco di interpretarlo con impegno.

Ma parliamoci chiaro. Il gioco di Renzi è iniziato, con il suo controcanto quotidiano. Che metafora vogliamo usare? Ghino di tacco? Oppure dire che ha la golden share della maggioranza. Dica lei.

Sì, parliamoci chiaro. E liberiamoci anche un po’ dall’ossessione di Renzi. Chiunque può far cadere questo governo.

Di Maio anche, dice lei.

Beh, i numeri, come noto, sono risicati e il Governo nasce da una oggettiva anomalia: l’unione di due forze politiche sconfitte, il Pd nel 2018 con Renzi e il M5S alle Europee dopo il fallimento dell’esperienza gialloverde. L’unica stabilità a questo Governo può essere assicurata dalle cose che fa. Le dico di più: se sarà in grado di costruire nel Paese il consenso sociale sulle sue politiche. Una sfida più alta, se mi consente, della tenuta parlamentare. E che va giocata nella società, con la politica.

La sensazione però è che il Pd, dopo la scissione, sia ancora sotto botta. Può il suo ruolo ridursi a quello del donatore di sangue? Nel senso: è il responsabile, il più leale a Conte, quello disposto a sacrifici, che in nome della stabilità paga prezzi enormi.

È il Pd che in questa esperienza si gioca la partita più grande, anche perché è grazie al Pd che questa esperienza è nata. Anzi, è nata proprio grazie al riposizionamento politico incarnato dall’elezione di Nicola Zingaretti, che ha individuato nella nuova destra di Salvini il nemico principale da combattere. Nicola ha condotto in porto questa operazione difficile, con un impegno unitario per cui è servita la sua pazienza di Giobbe. Anche per questo la scissione è incomprensibile, almeno con le ragioni della politica.

E allora con che cosa la spiega?

Con l’incapacità di stare in minoranza in un partito, di sentirsi parte di una comunità senza essere quello che comanda.

Ma lei non pensa che, in fondo, c’è uno spazio al centro e che Italia Viva può essere una sorta di Margherita 2.0?

Non credo alla divisione dei ruoli: chi pensa alla sinistra, chi al centro; chi alla crescita, chi alle disuguaglianze. Noi siamo per combattere le disuguaglianze proprio perché vogliamo riavviare la crescita. Questa operazione invece, dai primi passi, mi pare un centro che guarda a destra, persino nel lessico: Iva, Family act, solidarietà giudiziaria a Berlusconi. Ci aveva già provato Alfano, a fare una cosa del genere. Ma sono convinto che Renzi avrà maggior fortuna. E Italia Viva è meglio che Italia Forza.

Lei è indicato come una delle cause della scissione, per le sue posizioni critiche sul Jobs Act da responsabile lavoro della segreteria. Non ce n’è uno che non faccia riferimento a lei.

Hanno detto che non sarei riformista, come se il Jobs Act fosse la legge fondamentale del riformismo realizzato. E questo andrebbe spiegato anche alla Corte costituzionale, che ne ha cassato parti decisive. Invece la verità è che quella riforma, persino al di là del merito, è stata usata come una clava contro il sindacato, ha spezzato il già fragile legame della sinistra con il mondo del lavoro. Ma intendevo proprio questo: nei partiti si discute, e non è lesa maestà riflettere le scelte del passato.

Ecco, però il punto è il ruolo del Pd, che a me sembra dare segnali di cedimento politico e culturale: si tagliano i parlamentari e non si parla di legge elettorale, si scimmiotta Di Maio in Umbria, di decreto sicurezza non si parla più. Lei non vede, diciamo così, se non un rischio “grillizzazione”, il rischio di essere entrati, col governo in una terra di nessuno identitaria?

Guardi, le scorie antipolitiche ce le portiamo dietro da anni, tutta la Seconda Repubblica ne è stata inquinata, e anche la sinistra ne è responsabile. Il punto è un altro. Questa scissione ha lasciato il Pd esattamente al punto in cui era prima.

Si spieghi meglio?

Nella fase di avvio di un processo difficile di cambiamento. Alle primarie di marzo un milione e mezzo di persone ha chiesto unità e discontinuità, per rialzarsi dalla sconfitta peggiore della storia della sinistra. Una discontinuità che, ho sempre pensato, non deve riguardare gli ultimi cinque anni, ma gli ultimi venticinque. Ha letto l’ultimo editoriale di Martin Wolf sul Financial Times? Tutto il mondo si interroga sulla crisi del capitalismo, sulla sua separazione dalla democrazia. Il Pd ha il dovere di inserirsi in questa discussione, e secondo me ha le carte in regola per farlo.

Ma allora, se il punto è la discontinuità per riconnettervi col popolo, dovevate andare alle elezioni.

Si può fare anche dal governo. Anzi il punto è questo: si deve fare dal governo. Non voglio fare paragoni con Roosevelt che con il New Deal costruì la sua classe media, ma non basta unirsi in nome dell’emergenza. È questo che le principali forze oggi al governo devono capire. Come le dicevo, con la manovra abbiamo invertito la rotta, sia pur con margini strettissimi. Ora dobbiamo dare un’anima a tutta questa storia.

Sta dicendo: o si lavora per costruire un’alleanza politica coi Cinque stelle oppure questo film dura poco, se si instaura la dinamica del governo precedente.

Esattamente. Dobbiamo capire come si intende il governo. Se come il campo in cui ognuno cerca la sua visibilità, o come l’avvio di una fase nuova dell’Italia, che presuppone l’esistenza di un’alleanza politica e di una tessitura sociale. Siamo nati per arrestare l’avanzata inarrestabile di una destra arrogante. Ma far nascere un governo non può bastare, la destra è ancora forte nella società.

C’è ancora un problema che non è un dettaglio: i Cinque stelle non mi sembra abbiano scoperto un’anima di sinistra.

Per aprire la nuova fase, noi dobbiamo recuperare l’insediamento sociale perduto, loro devono capire, una volta per tutte e non in astratto, da che parte si sta in una partita che riguarda l’Italia, l’Europa e l’Occidente.

Non mi pare cosa di poco conto.

Non lo è, ma come dice Albus Silente, “non bisogna scegliere ciò che è facile, ma ciò che è giusto”.

L’HUFFPOST

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