“Fine vita”, ecco cosa prevede la legge sotto esame della Corte Costituzionale

Molti giuristi l’avevano detto subito: la legge 219/17 intitolata “Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento” (il cosiddetto DAT), meglio nota come legge sul Biotestamento, presenta molti dubbi di legittimità costituzionale. Esistono sostanzialmente tre termini, circa le scelte possibili per porre fine alle sofferenze di una malattia irrecuperabile e tutte hanno lo scopo di rispettare la volontà del soggetto che intende terminare la sua esistenza. Quello che differisce, però, è chi compie l’ultima azione.

Partiamo dall’eutanasia – che in greco vuol dire, letteralmente, “buona morte“.
E’ l’atto finalizzato a provocare intenzionalmente il decesso di un paziente, per mano di un medico, d’accordo con la volontà di quest’ultimo. Può essere attiva, quando viene praticata ad esempio un’iniezione letale. O passiva, quando cioè viene sospeso un farmaco salvavita come può essere l’idratazione artificiale. L’eutanasia può essere volontaria quando a richiederlo è lo stesso soggetto che ne usufruirà o non volontaria se altri esprimono le volontà di un soggetto terzo, come nel caso di un bambino. E già qui si pone un primo quesito, specie se esiste la figura di un “amministratore di sostegno“, cioè la persona nominata da un giudice tutelare per agire a vantaggio di un soggetto impossibiliato a curare i propri interessi, per menomazioni o infermità, fisiche o psichiche, anche temporanee. Questo perché, in assenza di DAT, la legge prevede che questo “amministratore” possa decidere anche in completa autonomia. Molto spesso si tratta di un congiunto o di un erede che, in teoria, potrebbe trarre vantaggio dalla persona che assiste.

Il Suicidio assistito – Non è il caso di Fabiano Antoniani, in arte dj fabo, che, come paziente, nel 2017 aveva scelto il “suicidio assistito”, chiedendo al medico di prescrivergli dei farmaci che lui stesso avrebbe poi deciso di ingerire. Dunque il medico non agisce direttamente ma assiste il malato collaborando con lui. Qualora si tratti di un paziente che non è in grado di bere autonomamente, il gesto finale è sempre del malato, che aziona con i movimenti che è ancora in grado di fare il sondino collegato ai farmaci letali. In pratica, è il malato a decidere quando morire.

Il DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento) – Si tratta delle disposizioni che una persona maggiorenne, capace di intendere e di volere, decide di fornire al medico per il futuro, quando non dovesse essere più capace di intendere e volere. Queste disposizioni richiedono espressamente di non essere sottoposto a nessun trattamento sanitaro, compresi quelli definiti “salvavita”. Le Dat possono essere stipulate da un notaio con una scrittura privata o con una scrittura semplice consegnata personalmente all’Ufficio dello Stato Civile del proprio comune di residenza. Una dichiarazione che deve essere stipulata davanti a due testimoni e può essere resa anche tramite videoregistrazione. Le Dat possono essere revocate o modificate.

Una materia molto complessa, quella al vaglio della Suprema Corte. Proprio perché, come scrivono diversi magistrati, per il  “Fine Vita” si moltiplicano i dubbi sulla corrispondenza delle norme ai valori costituzionali, sia sotto il profilo mano che giuridico. E secondo alcuni il rischio può essere la violazione degli aticoli 2, 3 e 32 della Costituzione, che sanciscono i principi a tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, che vanno dalla pari dignità di ognuno e del diritto alla salute.

TGCOM

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