Tasse, Di Maio irritato con Conte. E dà la linea ai suoi: “Niente deviazioni”

Lo storytelling è quello, anche perché c’è ancora una dipendenza psicologica dall’ex alleato, la Lega di Matteo Salvini, pronta a rovesciare sul Movimento tutte le colpe di un aumento delle tasse e perfino la responsabilità di rubare le merendine ai bambini.

I commenti al post

L’oggetto del suo durissimo stop è però più ampio. «Dobbiamo andare avanti compatti — dice ai suoi — senza deviazioni dagli obiettivi». Nessuno prenda iniziative, se non concordate, fa sapere. Soprattutto in temi chiavi come quelle delle tasse. Scrive anche: «Se questo governo esiste, è perché lo sostiene il Movimento 5 Stelle». Come se non esistesse anche perché lo sostiene il Pd. Ma in questo caso, la frase è un diversivo. Che funziona, visto che nei commenti sotto il post, decine di commentatori accusano il Pd di voler mettere la tasse e si chiedano come starci al governo insieme. Inutile dire che, in questo caso, l’iniziativa è tutta M5S.

L’attacco al premier

Ma l’obiettivo principale sembra il premier. Già da tempo si è creato una sorta di dualismo e l’avvocato «del popolo» si è preso la ribalta, riproponendosi in una versione ecumenica e versatile, con una capacità di stare sulla scena che ha fatto crescere le sue quotazioni, in Italia e all’estero. È chiaro che il suo protagonismo, reso possibile e forse anche necessario dalla nuova configurazione del governo, irrita non poco Di Maio. Che sente il rischio di farsi scippare la leadership del Movimento o, in alternativa, quella di far crescere troppo il potenziale leader di uno schieramento concorrente. Conte da giorni alterna la kermesse di Giorgia Meloni con le bandiere rosse di Articolo 1 e condisce il suo anomalo «sovranismo di sinistra» con un protagonismo politico e mediatico, che lo ha visto ieri ospite alle giornate del Lavoro della Cgil.

I provvedimenti contestati

Troppo per Di Maio, che lo richiama all’ordine. Certo, a rigore l’invito andrebbe indirizzato soprattutto a Fioramonti, ideatore delle tasse. Ma l’economista è una delle personalità più autonome e meno controllabili del governo. Tanto da avere avvertito, non appena insediato: «Se non arriva un miliardo entro Natale per l’università, mi dimetto». Quanto a Costa, la sua colpa è sostanzialmente la stessa, cioè quella di voler far passare una linea di tassazione a favore dell’ambiente. Per questo il capo politico dei 5 Stelle spiega nel suo post: «Un governo degno di questo nome premia chi non inquina e disincentiva chi se ne frega». Ma poi aggiunge che «la transizione» deve avvenire «su un arco temporale di anni».

L’ombra di Di Battista

Che le acque siano agitate, lo si capisce anche dal post di Barbara Lezzi, evidentemente ancora risentita per la mancata riconferma al Sud. L’ex ministro attacca duramente Vincenzo Spadafora, per l’intervista al Corriere. Spiega che «è gravissimo» pensare che «il radicamento locale si faccia solo con le alleanze». E che è «una scusa meschina» pensare che la legislatura debba andare avanti «solo per paura di una destra populista». Infine, nega che Alessandro Di Battista non sia più un riferimento per i 5 Stelle. E contesta che nel governo ci siano renziani e Leu.

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