Male la prima. Conte l’Elevato che sogna il Colle non convince il Pd

Ecco, c’è un punto preliminare (proprio un dettaglio non è) che il segretario del Pd affronterà con Conte nel corso dell’incontro col premier incaricato e la delegazione del Pd. E riguarda la “natura” stessa del suo ruolo e di come intende interpretarlo. E la “natura” di questo incontro innaturale tra due ex avversari che non hanno ancora esplicitato le ragioni e gli obiettivi del loro stare assieme. E che, a cascata, determina assetti di governo e caselle: “Conte – spiegano nel giro stretto di Zingaretti, dopo aver sentito il discorso – non può continuare a porsi come super-partes quasi di garanzia. È un leader dei Cinque stelle, politico, con cui noi facciamo un patto politico”.

Parliamoci chiaro. Le parole, il tono, tutto il circo mediatico accesso attorno all’ex garante del contratto gialloverde diventato l’idolo che ci salva dai barbari, coccolato dai giornali della borghesia, tutto questo, dicevamo, ha prodotto quasi un moto di fastidio al Nazareno. Perché è chiaro che un’operazione del genere così si configura un’ennesima donazione di sangue per la sinistra, innominata, non riconosciuta, utile solo in nome della stabilità. Alla Vetrata, dicono quelli attorno a Zingaretti, Conte si è posto, non difettando di considerazione di sé, non come il leader di coalizione tra partiti, ma come figura terza che sta un gradino sopra le miserie dei due partiti che lo sostengono. Non il nuovo Prodi, ovvero colui che si fa carico di una complessa operazione politica, da leader di un Movimento che stringe un patto con un alleato. Ma una sorta di garante di un equilibrio tra partiti, che si sente predestinato a una successiva Elevazione.

È il punto. Far passare, dicono al Nazareno, il concetto che il premier dell’era gialloverde è super partes non sarebbe solo una capitolazione, per un partito che aveva chiesto discontinuità rispetto ai quattordici mesi di governo gialloverde, in cui Conte non stava propriamente su Marte, ma a palazzo Chigi a firmare i decreti sicurezza. Ma è una questione che si proietta ben oltre la nascita di questo governo, la cui durata consentirebbe di eleggere nel 2022 il successore di Mattarella, che poi è, sulla carta, una delle ragioni per cui nasce, impedire cioè di darlo a Salvini dopo una vittoria nelle urne. Significa far passare l’idea di un premier naturaliter quirinabile quando sarà: “E questo – dicono nella cerchia stretta di Zingaretti – è inaccettabile”.

E chissà se è un caso che un presidente attentissimo ai dettagli e alla simbologia come Sergio Mattarella ha accuratamente evitato di mostrarsi alla vetrata, per pronunciare due parole anche di circostanza. Accade assai di rado, quando si conferiscono incarichi. Chi ha una certa consuetudine col Colle interpreta il gesto – come si dice oggi: il non metterci la faccia – come consapevolezza che l’operazione non è prettamente entusiasmante. Insomma, uno che stava nella Dc con Moro, sa bene quale sia la differenza tra un grande disegno e un’operazione di spiccia necessità, anche con marcati tratti di trasformismo. Sia come sia la sintesi, tornando al Pd, è che la scintilla non è scattata neanche il primo giorno. E questo dice tutto su una crisi ancora, per molti versi, al “buio”. Perché è chiaro che se non sciogli il perché due vanno a vivere assieme, non ha neanche senso parlare di mobili. Questione dei vicepremier, ancora aperta, del sottosegretario a palazzo Chigi, ministeri si affronteranno a cascata. Prima c’è il nodo da sciogliere: Conte è disposto a cambiare registro o già si sente al Quirinale nel 2022? È questa la domanda che alimenta un certo mal di pancia al Nazareno. E ancora non nasce.

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