L’Avvocato del declino

Come in tutti i mistery, è dal finale che si capisce la trama. In questo caso, il finale è il crescendo di endorsement, dichiarazioni pubbliche di favore, che hanno portato Conte direttamente al Quirinale. Quelle di Donald Trump, e di Bill Gates arrivate all’ultima ora, aggiuntesi a quelle più scontate europee di Angela Merkel e di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, hanno ampiamente contribuito a scrivere il finale glorioso del nuovo premier descritto come “uomo circondato dal rispetto internazionale”. Quanto valgono queste lodi? 

Un tweet che loda con un errore di spelling un Giuseppi Conte, la dice lunga sul grado di conoscenza fra i due leader, non è granché come riconoscimento. E’ uno strumento per altro su cui Trump si sfoga personalmente e spesso casualmente, contraddicendosi come capita, anche su temi serissimi, come la Corea del Nord e la guerra dei dazi con la Cina. Le lodi,sospettiamo, andrebbero in realtà alla bravura del nostro ambasciatore Varricchio a Washington e al diplomatico Eisenberg, che rappresenta gli Usa a Roma. Per quel che riguarda Bill Gates, viene fatto passare per endorsement un ringraziamento del signore del denaro al contributo europeo alla sua fondazione contro l’Aids. L’Italia e Conte vengono citate insieme a Germania e Commissione Ue. E anche qui lode ai comunicatori di Palazzo Chigi (e qui vorrei fare una lode al sempre bistrattato Rocco Casalino, che è in verità l’unico autore del Conte bis). Come si vede, si tratta di un vero e proprio make-up per il premier in pectore. 

Di che sorprendersi, tuttavia? La piccola Italia ha sempre usato in politica il “riconoscimento” dei leader stranieri, riflesso condizionato rimasto nel nostro dna di quel viaggio a Washington di De Gasperi, il 3  gennaio 1947, anno freddissimo in ogni senso (affrontato dal nostro primo ministro con un cappotto in prestito, come si ripete per raccontare di quanto eravamo allora semplici e umili). Riflesso condizionato, senso mai curato di nostra inferiorità nell’Occidente del dopoguerra, che ci accompagna dai comunisti dei tempi d’oro, che nonostante il riconoscimento berlingueriano dell’ombrello Nato in una intervista a Pansa nel 1976 dovette sudarsi il rapporto con Washington, passando per Andreotti, Craxi. Passione per i riconoscimenti condivisa da due arcinemici – Letta e Renzi – che non hanno mai smesso di lavorare a questo consenso. 

Quello intorno a Conte oggi non è dunque esattamente un abbraccio che ci impressiona. 

Ma certo c’è in tutte queste lodi, una prova di un disegno politico, che parte dall’Europa. Nella nuova Europa post elezioni, Merkel e von der Leyen, eletta presidente con i voti di M5s e Pd, guidano un diverso approccio, una operazione a trazione tedesca, costruita a tavolino, per arginare il fronte sovranista; mirata a favorire l’affermazione in Italia di un Governo moderato, e a maggiore ispirazione sociale. 

Conte, col suo tiepido carisma, e la sua estrema adattabilità politica e psicologica, la sua mancanza di ideologia – tutte doti che lo hanno portato a navigare da garante dell’estremismo populista a democratico nell’ultima ora del discorso in Senato contro Salvini – è il perfetto strumento per il nuovo passaggio politico che l’Europa e le classi dirigenti euronazionali vogliono per l’Italia. 

La gloriosa salita al Quirinale di stamattina dell’ormai ex Avvocato, e il favore dello spread che l’ ha accompagnata, è solo la conclusione di questo percorso. 

Come giudichiamo questa mossa: è stata una ingerenza, o è un esempio di politica europea? 

Ristabilita questa realistica versione del miracolo Conte, si deve ripartire da questo quesito per cercare ora di ristabilire anche una parte della verità sul significato del Conte-bis. Rileggendo gli effetti che questo incarico ha avuto su ogni partito, amico o nemico che sia del nuovo Governo. 

Partirei con Salvini, il leader che più ha subito questa crisi, e che parla infatti di “un complotto, in corso da tempo”. Ovviamente questo argomento, che riscalda quello in cui si rifugiò nel 2011 Berlusconi, sarà il centro della campagna elettorale sovranista. Ma è molto difficile che i leghisti possano davvero fino in fondo sostenere questa linea. Intanto, che complotto è mai una operazione che è stata condotta alla luce del sole? Salvini non ha visto, a differenza di tutti noi, le scelte che venivano fatte a Bruxelles, in Francia, a Berlino, la linea rossa di combattimento che veniva segnata dall’Ungheria, passando per l’Austria e arrivando in Italia? E di che si scandalizza Salvini? E’ sceso in campo con una proposta di guerra all’Europa, in cui proponeva di lasciare la Ue e l’Euro – e ora si meraviglia se in Europa e in Italia si risponda con identico spirito di guerra? Il vero errore di Salvini, nella sua caduta, è di aver sottovalutato questa risposta europea e italiana. Specie dopo l’affare Metropol, in cui, come abbiamo scritto su questa testata, erano visibili le manine dell’intelligence europea e quella tedesca, e un cambio di strategia politica. E, trattandosi di una sola Europa con un solo Governo, è difficile parlare di ingerenza. E se Conte è oggi Napoleone, Salvini si è trasformato, nel giro di una notte, dal magnifico Hulk nel piagnucoloso Calimero.

L’operazione Conte bis tuttavia, proprio per i numerosi e potenti fili che la muovono, ha un profondo impatto anche per Pd e 5stelle, che attraverso l’accettazione di Conte lasciano a loro volta sul terreno parte della loro sovranità al loro stesso partito. 

I 5Stelle che pure hanno “inventato” il premier, stanno festeggiando. Ma anche loro non hanno del tutto guadagnato da questo incarico. Il Conte 2.0 come preferiscono chiamarlo, nel senso che è un organismo ormai modificato, davvero non è più una loro creazione, in quanto non risponde più a loro del tutto. Premier unico, come vuole essere, sarà in futuro il riconoscimento di questa nuova veste. E tuttavia i 5 stelle rimangono il suo esercito di manovra: quindi entrano in questo nuovo Governo con la responsabilità di un leader che è solo formalmente loro, e l’obbligo a doverlo sostenere perché è il loro unico strumento di lavoro. Con tutti i prezzi che ne conseguono – come già ben si vede nella parabola di Di Maio, che nell’ascesa di Conte misura la sua discesa di peso politico. E chissà che questa parabola non sia specchio e anticipazione di quello che succederà all’intero Movimento, che a questo appuntamento arriva avendo pagato il prezzo di una forte divisione. 

Il Pd anche paga pegno a una operazione che Zingaretti ha sicuramente subito. Il suo Pd è un partito che doveva andare al voto subito, e invece ha fatto il Governo. Doveva essere, certo, un Governo però in discontinuità, quindi senza Conte, ed è divenuto il piedistallo per la gloria di Conte. Doveva a questo punto almeno avere la certezza che M5s riconoscesse la democrazia rappresentativa come bussola, e invece deve accettare che si faccia una votazione extraistituzionale su Rousseau. E per quel che riguarda la discontinuità non è riuscito al momento ad assicurarsi nemmeno quella dei futuri ministri- né quelli del 5stelle, né quelli del Pd. Su questo vedremo presto cosa succederà.

 Si capisce il perché di questa ritirata. Le pressioni fatte per un nuovo Governo Conte sono arrivate anche al Pd – il Governo europeo, il Quirinale (nominiamolo, sì), e le classi dirigenti nazionali ed europee hanno fatto pressione sul Pd. Da ogni parte – Vaticano, sindacati, intellettuali di fede antisistema convertiti alla battaglia per salvare il sistema. D’altra parte il partito è esso stesso da anni “responsabile” per eccellenza, in quanto parte eurorganica delle classi dirigenti, ed ha detto sì, come fece per Monti. Sollecitato, in aggiunta, da quei famosi spiriti animali di un governismo spinto che, proprio in quanto parte di una classe dirigente, è la vera passione che tiene insieme un Pd spesso sconfitto, e oggi molto frammentato. 

Zingaretti, rimanendone fuori, ha tracciato la linea di una sua personale dignità. Ma, come per i 5S, il prezzo che pagano lui personalmente e il partito è alto: si tratta di una incredibile ritirata, che, per quanto addolcita dalla retorica del caso, “Nessuna staffetta, nessun testimone da raccogliere”, rimane una operazione in cui il Pd è il donatore di sangue principale di questa operazione antisovranista, e antipopulista. 

 Le incognite, come si vede, e le ambizioni del nuovo Governo sono tantissime. 

Chi come me, e molti altri, ha tifato fin qui per il voto invece che per l’accordo, è ancora convinto che le urne sarebbero state un passaggio migliore per creare una svolta in Italia. I partiti avrebbero potuto contare le loro reali forze, e avrebbero soprattutto condiviso con i cittadini italiani il peso di una trasformazione di fase così incerta. E avremmo avuto un premier vero, invece di un Avvocato arrivato al bis senza mai essere stato votato. 

Certo avrebbe forse, o magari sicuramente, vinto Salvini. Ma volete davvero dirmi che con tutto lo schieramento alle spalle oggi del Conte bis, nel cambio di clima europeo, non sarebbe stato possibile fare una opposizione, nuova e più efficace che avrebbe sconfitto il sovranismo ad armi pari, e guardandolo negli occhi? 

Non credere alla propria vittoria in campo aperto, è la malattia degli eserciti nella fase declinante degli Imperi – ci insegna la storia. Lo stesso vale per la politica. 

VIDEO – “Non sarà un governo contro”: il discorso di Conte

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