Il governo nelle mani di Conte: «Non una somma, ma una vera coalizione»

Ieri sera, quando all’ultimo tornante prima del rettifilo s’è ritrovato tra capo e collo la suggestione lanciata da Beppe Grillo di «un governo senza politici», Conte ha subito rassicurato Zingaretti.

Il senso del messaggio è stato ribadire, insomma, che è e sarà lui — non altri, non Grillo, non Di Maio — il garante della nuova fase, l’uomo che si porrà l’obiettivo di superare giorno dopo giorno il dualismo tra Pd e M5S, l’uomo dell’«amalgama», della «sintesi», della «coalizione». Perché in testa Conte non ha semplicemente l’obiettivo di guidare un governo tra diversi, esperimento fallito con la creatura gialloverde. Ma di provare a metterli insieme, quei diversi. Dall’editto di Biarritz, con cui ha staccato la spina al forno M5S-Lega che resisteva sotto l’egida dei messaggi WhatsApp tra Di Maio e Salvini, il premier uscente e rientrante s’è messo in testa — e il ragionamento che ha svolto negli ultimi giorni coi suoi — di ritornare al bipolarismo. Di essere il «nuovo Prodi» che nel giorno del giudizio sfiderà Matteo Salvini come il vecchio Prodi sfidava (e batteva) Silvio Berlusconi. Pd-M5S e sinistra da questa parte, Lega e la destra dall’altra; di qua la scelta di campo dell’europeismo, di là le sirene euroscettiche; di qua la Chiesa di papa Francesco che accoglie, di là il rosario ostentato da Salvini; di qua l’America, di là la Russia Putin.

La rete di relazioni europee con Angela Merkel se l’è costruita disfacendo a Bruxelles la tela antieuropeista tessuta a Roma dai suoi ex vicepremier. Loro ricamavano lo sforamento al 2.40, lui alla fine della fiera riportava tutto al 2.04. Entrare nelle simpatie di Donald Trump è stato molto meno faticoso. «Volete sapere come l’ho agganciato? Un giorno mi ha chiesto di un mio abito e io gli ho suggerito il mio sarto napoletano, Paolo Di Fabio. E da allora abbiamo costruito un rapporto», ha raccontato ai pontieri pd che ieri l’altro si stupivano dell’endorsement su Twitter dell’inquilino della Casa Bianca. La somiglianza antropologica con un qualsiasi democristiano di razza, per un processo d’ideale osmosi, gli ha trasmesso la vecchia lezione andreottiana sull’impossibilità di indovinare la strada certa per arrivare ad essere eletto al Colle.

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Errori e meriti

Valeva nel 1992, vale anche per il 2022. Ma lui, tanto, aspira a diventare il «nuovo Prodi» che sigillerà la coalizione Pd-M5S in chiave anti Salvini, con la speranza che la partenza del governo consenta l’esperimento già alle prossime Regionali in Emilia-Romagna. Un mese fa, una tavolata di giovani deputati di Forza Italia (c’erano Alessandro Cattaneo, Antonio Martino, Matteo Perego, Andrea Ruggieri) se lo ritrova in un ristorante del centro di Roma mentre sta per ordinare la cena da solo, all’una di notte. «Presidente, facciamoci un selfie». E lui, di rimando: «Facciamoci ‘sto selfie ma vi avverto che tra un po’ non varrà nulla. Tra qualche mese sarò già tornato a fare il professore». Battute, risate, pacche sulla spalle. Questa mattina, al Quirinale, la prova provata di quanto si sbagliasse. O di quanto mentisse, chissà, sapendo di mentire.

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