Salvini e Di Maio, la solitudine dei numeri 2

di Gian Antonio Stella

Da sinistra, Matteo Salvini, il premier Giuseppe Conte e Luigi Di Maio (Imagoeconomica)

Da sinistra, Matteo Salvini, il premier Giuseppe Conte e Luigi Di Maio (Imagoeconomica)

Manca solo la «Regina di Bitinia». Tolti i tweet, i post e le dirette facebook, però, lo scontro fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio ricorda l’odio insanabile che divise Gaio Giulio Cesare e Marco Calpurnio Bibulo. I due consoli che, a dispetto del nome (consules: «coloro che decidono insieme») si spaccarono nel giro d’un anno su tutte ma proprio tutte le decisioni per governare Roma. Certo, dopo essersene dette di tutti i colori, i proconsoli decaduti ieri un accordo nella scia del voto 2018 pareva l’avessero trovato. E sottoscritto. Sul potere, però. Poca stima. Zero convergenze su troppi principi. Anche nei giorni del famoso murale in via del Collegio Capranica dove il maschio alfa milanese baciava l’imberbe pomiglianese. Murale subito rimosso da zelanti pittori al servizio dei nuovi podestà. E adesso? Eccoli là, sempre più distanti. Un’ultima telefonata: «Mi hai tradito». Non un incrocio di sguardi alla cerimonia per i morti di Genova. Broncio nero senza un’occhiata martedì al Senato. E per quanto possano strillare, come ha fatto il Capitano leghista, o starsene zitti come ha preferito fino a ieri il Capo grillino, i due di colpo si ritrovano, spiazzati dagli eventi, dentro una situazione simile. La solitudine dei numeri secondi.

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