La ricreazione è finita

 Chi ha una certa consuetudine col Colle è certo che Sergio Mattarella coltiva un certo “disincanto”, anche alla luce della giornata di oggi. La verità è che non c’è ancora uno schema definito in campo che attesti l’esistenza di un negoziato degno di questo nome. Anzi, è già caduta l’ipotesi di un Conte bis, l’illusione coltivata dai Cinque Stelle. La pietra tombale è in quelle poche righe che il segretario del Pd ha affidato alle agenzie, appena finito il discorso del presidente del Consiglio, che pure si è “offerto” alla sinistra rimuovendo, come se calasse da Marte, l’anno “bellissimo” che ha certificato la sua subalternità a Salvini (vai alla voce: migranti e sicurezza): “Discorso autoassolutorio”.

 Due parole che anticipano la posizione su cui Zingaretti chiederà mercoledì mattina mandato alla direzione del suo partito prima di salire al Colle, riassumibile anch’essa in due parole. Queste: “Profonda discontinuità”. In sintesi: il Pd, preso atto del fallimento dell’esperienza gialloverde, senza rimuovere quel che è accaduto – i dati economici, la regressione civile del paese, i provvedimenti varati – è disponibile a verificare se ci sono le condizioni per un governo con i Cinque stelle, a patto che si fondi su una rivoluzione copernicana delle logiche seguite finora. Detta in modo tranchant: non un “contratto”, sostitutivo di quello appena stracciato, col Pd che si limita a sostituire, con i propri ministri, i leghisti nella compagine di governo: o si riesce a fare un “patto politico” serio fondato su una cesura nei programmi e negli uomini, bene, altrimenti, se i Cinque stelle non sono disponibili, si vota. Si sarebbe detto una volta: non governo a tutti i costi, non voto a tutti i costi. 

 E se dunque Conte, garante di quel contratto prima del j’accuse di oggi senza neanche l’abiura (“non rinnego nulla di quel che ho fatto sui migranti”) non può essere la figura per palazzo Chigi è chiaro che il “rinnovamento” dovrà riguardare anche il resto, o comunque una parte, della compagine di governo che è stata al governo con Salvini. Ecco uno dei punti che già stressa l’ipotesi di negoziato. L’altro, nient’affatto irrilevante, è il “fattore Renzi”, che della nuova maggioranza avrebbe la golden share numerica in Parlamento e politica. Il suo discorso in Aula, il suo protagonismo mediatico, la sua accusa pesante di “connivenza” con Salvini di una parte del suo partito: tutto racconta che, dell’eventuale nuovo governo, pur non entrandoci sarebbe il dominus in grado di deciderne durata di vita e di influenzarne l’azione, perché ha i numeri per condizionarne l’azione.

 Si spiega così lo scetticismo dentro il Movimento, alimentato dalle parole di Salvini su Renzi, la Boschi, Etruria, gli Arcinemici con cui i Cinque stelle vorrebbero allearsi e gli scandali che attesterebbero la definitiva perdita dell’anima. Arrivati al dunque, Di Maio e altri, hanno toccato quanto sia rischioso il patto col diavolo che già si muove come un soggetto politico autonomo. E se, tra qualche settimana, Renzi consumasse la sua scissione? Accadrebbe che il suo partito diventerebbe il terzo socio della maggioranza, con Renzi leader e magari la Boschi capogruppo seduta ai vertici col Pd e Cinque stelle. Ecco, voi capite perché il capo dello Stato ha fissato un calendario stringente. Altrimenti il gioco rischia di diventare infinito.   

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