Mozione di sfiducia, capigruppo riuniti: è scontro sui tempi. Di Maio: “Nessuno vuole sedersi al tavolo con Renzi”



In precedenza Di Maio aveva fatto sapere che chiederà le dimissioni dei ministri della Lega, forse per prevenire la tentazione di Salvini di ritirare i suoi ministri per accelerare la sfiducia.  “La Lega faccia dimettere tutti i suoi ministri da questo governo – ha affermato Di Maio –  I ministri della Lega dovrebbero votare contro se stessi. Noi saremo al fianco di Giuseppe Conte. Ha il diritto di presentarsi alle Camere per dire quello che abbiamo fatto, quello che potevamo fare e che non faremo. Ci devono guardare negli occhi”. E ha attaccato: “Salvini non ha tradito il movimento o Conte, ma milioni di italiani a cui per 14 mesi aveva detto che non guardava i sondaggi. Ha tradito il contratto di governo per i suoi interessi”.

“Mattarella è l’unico che decide quando e se andare a votare – ha continuato il ministro del Lavoro – Già è surreale che ci debba essere crisi a Ferragosto. Ai cittadini viene scaricata addosso la preoccupazione non delle elezioni ma di una crisi che colpirà misure per loro importanti. Un governo non si insedierà prima di dicembre: salterà tutto quello che abbiamo fatto, quindi reddito, quota 100…Stiamo parlando del futuro del nostro Paese”.

Lo stesso Di Maio – così come altri esponenti pentastellati – ha ammesso poi che l’accelerazione di Salvini “ha colto tutti di sorpresa”. Tuttavia, secondo quanto viene riferito, nel corso della riunione è prevalsa la linea del confronto aperto ma più che per un esecutivo di transizione su un esecutivo di largo respiro. In tanti non intendono andare al voto e hanno sottolineato la necessità di proseguire il dialogo con le forze che non vogliono le elezioni anticipate. Altri, come il sottosegretario Buffagni, si sono invece schierati a favore delle elezioni anticipate. Nel dibattito non si è parlato delle deroghe al secondo mandato. È stata proprio la vicepresidente di palazzo Madama, Paola Taverna, a sottolineare come in molti sono in teoria incandidabili, ma probabilmente sul doppio mandato nei prossimi giorni potrebbe esserci un voto sulla piattaforma Rousseau.

Il Pd mobilita i senatori: “Tutti in aula”

Di fatto l’Aula del Senato potrebbe essere convocata già domani per votare sull’ordine dei lavori, se nella capigruppo non si dovesse trovare una intesa all’unanimità. La partita si gioca sul filo del regolamento di Palazzo Madama che recita che “la convocazione è fatta dal Presidente”. Poi sarà l’Assemblea a decidere quale calendario adottare.

Per questo tra i senatori del Pd circola il seguente messaggio: “Qualora la presidente Casellati con una assurda forzatura decidesse, a seguito della capigruppo di oggi, di convocare l’aula per il voto sul calendario già domani, martedì 13 agosto, sarà fondamentale la presenza di tutti. Vi chiediamo cortesemente di iniziare a valutare come meglio organizzarvi per rientrare a Roma. Seguiranno indicazioni più precise”. Indicazioni confermata anche dalla riunione dei senatori dem. Alla fine il capogruppo Marcucci sì è avviato alla riunione dei capigruppo dicendosi contrarissimo a riunire il Senato domani accusando in maniera preventiva di “forzatura” la Casellati.


Lo scenario possibile al Senato

Andando in ordine: oggi la conferenza dei capigruppo del Sento deciderà sul calendario dei lavori e lì l’asse M5S-Pd, che vuole posticipare a dopo il 19 agosto la convocazione dell’Assemblea, avrà la maggioranza. In assenza di unanimità, però, il calendario può essere discusso e messo ai voti in Aula: la scelta di convocarla spetta appunto al presidente del Senato.

E la seduta può svolgersi subito perché Palazzo Madama non è convocato a domicilio, circostanza nella quale bisognerebbe aspettare 5 giorni per la convocazione dell’Aula. La prossima seduta dell’assemblea risulta infatti già fissata per il prossimo 10 settembre.

Se si votasse il calendario già domani e le truppe del centrodestra fossero al completo come annunciato, Lega, FI e FdI potrebbero contare su 136 voti, a cui si potrebbero aggiungere i due del Maie, arrivando così a quota 138. Il fronte opposto sulla carta ha la maggioranza: sono 107 i senatori 5S, 51 quelli Pd e una decina quelli del Misto, fra cui i 4 senatori di LeU, per un totale di 168 voti. Restano da attribuire i 6 voti del gruppo delle Autonomie, che però in questo caso non fanno la differenza.

Il Partito democratico però non può contare sul pienone in queste ore: le assenze sarebbero numerose, mettendo a rischio qualsiasi votazione. L’unica strada per evitare rischi sarebbe quella di far mancare il numero legale. Sulla carta quest’ultimo è pari a 161 e pur immaginando qualche assenza giustificata per congedo difficile che si abbassi troppo.

Se dovesse mancare il numero legale la seduta potrebbe, da regolamento, essere convocata ogni 20 minuti fino a 4 volte nello stesso giorno, per poi essere rinviata al giorno successivo, ripartendo dallo stesso orario. Questo meccanismo si può ripetere fino a che non si raggiunga in Aula il numero legale per procedere con la deliberazione.

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