Salvini vuole le urne il 13 ottobre. «Ora mi metto in gioco da solo»

Percorso complicato

Nell’incontro con Conte di mercoledì, Salvini e il premier avevano parlato dell’ipotesi più rapida: il capo del governo che sale al Colle per le dimissioni. Il presidente del Consiglio aveva chiesto qualche giorno, ed anche per questo Salvini, a Sabaudia a Sabaudia, non aveva spinto sull’acceleratore, pur parlando del governo al passato. Ma Conte non è d’accordo. E così, ieri, il discorso del vicepremier sarebbe stato di questo tenore: «Guarda Giuseppe (Salvini, non lo chiama Beppe come altri) è finita, abbiamo fatto cose importanti di cui siamo fIeri. Ma oggi, credimi, non è rimasta nessuna alternativa al voto». Il percorso dei prossimi giorni è complicato oltre che inedito. È vero, per esempio, che Salvini, come candidato premier, non potrebbe portare il paese a elezioni da ministro dell’Interno in carica. Ma, spiega un leghista, «bisogna capire se è esplicitamente vietato. Le prassi di per sé non lo preoccupano». E in ogni caso, Salvini «potrebbe essere sostituito per esempio dal sottosegretario Molteni». Ciò che conta è che «non arrivi un governo sostenuto dagli Scilipoti».

Il gelo con Di Maio

Ma questo è la serata. Perché Salvini gestisce tutto in solitudine: anche in Lega tutti sono a caccia di notizie sulle intenzioni del segretario, durante il faccia a faccia con Conte. Di Maio è a Palazzo Chigi ma non partecipa, il capo dei 5 stelle si arrocca sul voto del 9 settembre per il taglio di 345 parlamentari. Per i leghisti «è soltanto il relitto a cui si aggrappa Di Maio per tirare in là». E infatti, Salvini non vuole quel voto non perché diminuirebbe le poltrone: «Per noi le poltrone valgono meno di zero». La questione è che il taglio dei parlamentari allontana le elezioni a data ignota, occorre come minimo il tempo per ridisegnare i nuovi collegi. «Ma a quel punto – ripete Salvini ai suoi – campa cavallo…». A Pescara c’è anche il tempo di solleticare l’eterna destra: nel dire che l’Italia «ha bisogno di regole, ordine e disciplina». E nel ringraziare «Dio per non essere nato comunista. O magari di esserlo nato e di aver avuto modo di cambiare…». Ma il finale sul palco è di commozione, parlando dei figli: «Li ho chiamati…». poi si ferma, gli occhi lucidi. E le rose che gli consegnano due ragazze, forse non bastano a scacciare quel pensiero.

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