Disfatte e giochetti: l’ora della crisi per il governo Lega-5 Stelle

E quando un primo ministro per averla vinta in Parlamento deve ricorrere ai voti della opposizione, è a un passo dalle dimissioni, perché vuol dire che non dispone più di una maggioranza, e neanche una conferenza stampa può fare finché non ne ritrova una. Tanto più se la materia del contendere è definita in un trattato internazionale, come era nel caso della Tav. D’altra parte questo tema della affidabilità internazionale sta per riproporsi a parti rovesciate e in maniera di certo più esplosiva sulla manovra finanziaria, perché Salvini annuncia alle parti sociali misure che non sono possibili se non rinnegando gli impegni che Conte e Tria hanno preso con Bruxelles sul contenimento del nostro deficit. Bisogna anzi dire, a dispetto di tante chiacchiere sulla sovranità, che viene da ringraziare la provvidenza se i vincoli delle alleanze internazionali e del rispetto dei trattati funzionano ogni tanto da «pilota automatico» ed evitano al Paese di danneggiare se stesso, come sarebbe stato rinunziando alla ferrovia Torino-Lione e come sarebbe se, con il debito che abbiamo, ci mettessimo a sfondare il deficit e a sfidare i mercati.

Oggi solo il Generale Agosto e il Capitano Salvini possono decidere di rinviare l’apertura formale di una crisi. Il primo perché è ormai troppo tardi per sciogliere il Parlamento e votare in tempo per le scadenze della legge di bilancio; il secondo perché sembra aver scelto da tempo la strategia del carciofo, preferisce mangiarsi i Cinquestelle foglia a foglia, e in queste ore sta forzando la mano con Conte, mobilitando le sue truppe, convocando le spiagge (hanno preso il posto delle piazze), per alzare la posta. È probabile che il suo obiettivo sia quello di un rimpasto, per certificare un altro passo avanti nel suo dominio politico, magari prendendo per la Lega il posto di Toninelli, oltre a quello di commissario europeo a Bruxelles, e facendo cadere qualche altra testa a lui invisa. E se il rimpasto si rivelasse impossibile per la resistenza dei ministri o per la loro intoccabilità (Tria), ci dovrebbe allora essere un Conte bis. Qualcosa insomma che metta fine anche formalmente alla stagione della parità formale tra i due alleati e sancisca ciò che i sondaggi già dicono, che cioè Salvini oggi vale il doppio di Di Maio.

Se di questo si trattasse, non saremmo però molto lontani dai giochetti della tanto esecrata prima Repubblica. Per ora la maggioranza degli italiani osserva indifferente, talvolta divertita, questa riedizione di Ercole contro tutti che è diventata la lotta politica. Ma che così non si possa andare avanti a lungo lo dicono gli stessi protagonisti, e lo ha sancito senza più ombra di dubbio il voto di ieri al Senato.

CORRIERE.IT

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