Sicurezza bis, la paura fa 160

È stato un’ora all’interno del Senato. Si è materializzato alle 19 e 15, abbronzatissimo, ma questa volta senza cuffie da deejay e con una grisaglia istituzionale.  Eccolo entrare da un ingresso laterale e concedersi ai cronisti con la sicumera di chi sa che può permettersi qualsiasi riferimento: “Chi è stato a Medjugorje lo sa, oggi è 5 agosto, il compleanno della Vergine Maria e mi fa piacere che oggi faccia un bel regalo all’Italia. Con il decreto ci saranno meno Carola (Rackete, ndr) e più Oriana Fallaci”. Poi se ne va ed entra in Aula, ma per circa dieci minuti non siede né fra i banchi del governo, né fra quella della Lega. Parla al telefono dietro l’emiciclo. E solo quando si apre la “chiama” per il voto di fiducia, si accomoda accanto al ministro Giulia Bongiorno, che vuole dirgli o spiegargli qualcosa. E allora lui fa un gesto e raccoglie attorno a sé lo stato maggiore del leghismo: i sottosegretari Nicola Molteni  Guido Guidesi, il capogruppo Massimiliano Romeo, e i ministri Erika Stefani e  Gianmarco Centinaio, con quest’ultimo che ha ammesso di essere nella rosa dei nomi per la commissione Ue. Sembra una riunione di partito, dove la più accesa appare l’allieva di Franco Coppi. Ma è sempre lui, Salvini, a spadroneggiare, a scherzare, a ridere. Eppure il momento topico si tocca quando  si avvicina Pierferdinando Casini. L’ex presidente della Camera indossa una giacca blu con le toppe rossa, lo guarda negli occhi e ironizza così: “Ministro, stia attento quando va al Papeete, quella è zona mia”. E giù con i sorrisi e le pacche sulle spalle.

In questo contesto Salvini trova il tempo, non solo di fare il guardiano del pallottoliere del Senato, ma anche di pensare alla mozione sul Tav che fa tremare l’esecutivo. A un certo punto, infatti,  si confida con Romeo, e gli domanda: “Massimiliano, quante le mozioni sono? Domani vi dirò come comportarvi”. Sta tutta qui la strategia di un vicepremier che per ventiquattro ore sveste i panni del dj – a brevissimo ricomincerà il suo tour nelle spiagge meridionali –  e  indossa quelli del poliziotto cattivo che vuole tenere sulla graticola i cinquestelle per un altro giorno ancora. E allora  cosa succederà? Non è dato sapere in questo frastuono di penultimatum e liti cosa potrà mai consumarsi.

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Fatto sta che oggi Salvini incassa una fiducia piena, fino a qualche giorno fa inaspettata. È vero che sono 160 i senatori che hanno votato il decreto sicurezza, un voto in meno della maggioranza assoluta, fissata a a quota 161. Ma è anche vero che sono assenti due parlamentari leghisti come Umberto Bossi (per ragioni di salute) e Massimo Candura (per il suo matrimonio), e una cinquestelle Bogo Deledda che non appartiene al gruppo dei ribelli del Movimento. Dunque, si può dire, che la maggioranza supera una prova non certo scontata. E senza defezioni avrebbe raggiuntoquota 163. Che è un numero significativo, se si mette in fila quello tutto che è successo in quattordici mesi di governo del cambiamento. Non a caso il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, irride l’atteggiamento del M5s: “Grazie agli schiavi 5 stelle la situazione nelle città e nei quartieri rimarrà la stessa, anzi peggiorerà”. A tarda sera, racconta un soldato di Salvini che “noi ci avremmo messo per la firma per 155”. Ecco perché oggi Salvini e i suoi possono festeggiare. Non a caso questi numeri si schiantano anche con l’ultimo pressing del sottosegretario Giancarlo Giorgetti. Il deus ex machina di via Bellerio, da giorni inabissato, e che si è stufato da tempo di questo esecutivo con le truppe di Di Maio, c’avrebbe riprovato ancora una volta. In una lunga chiamata avrebbe sollecitato Salvini a staccare la spina. “Basta, adesso puoi rompere”. Ma con questa maggioranza appare difficile che Salvini possa decidere di rompere il giocattolo. Certo è che fino a mercoledì il Capitano terrà con il fiato sospeso la Camera alta e soprattutto i cinquestelle. Fanno fede le sue parole: “Non è possibile che si voti una mozione contro la Tav perché sarebbe un voto contro il governo, contro l’Italia e contro gli italiani e noi ne trarremo le conseguenze”. Eppure ventiquattro ore in politica sono sempre un’eternità.

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