L’assurdità dei liberali che sostengono Matteo Salvini

Reagisce a quella che ritiene una cappa conformista imposta sia dalla sinistra, sia da certe “deviazioni” del liberalismo. Per lui il salvinismo costituisce finalmente l’occasione per disvelare ipocrisie, falsità ed errori dei suoi nemici. Le critiche fatte alla sinistra – da certe interpretazioni della storia agli eccessi del politicamente corretto, dal giustizialismo alla pretesa di una superiorità morale – sono in realtà condivise da molti altri liberali. Che in più casi convengono anche sulla preoccupazione per la torsione tecnocratica di alcune soluzioni politiche supposte “liberali”, o, ancora, sugli eccessi di una visione acriticamente ottimistica della globalizzazione. Tuttavia, ciò non impedisce a questi liberali di guardare con sgomento alle politiche e al discorso pubblico del ministro dell’Interno.

Il liberale per Salvini è inoltre conservatore. Ma non ogni liberale conservatore è un liberale per Salvini. Quest’ultimo tende a intravvedere dentro alle nostre democrazie un vero e proprio “scontro di civiltà”. Considera la sinistra e i liberal i “corruttori” dell’Occidente. Dal multiculturalismo ai nuovi diritti civili, si sente assediato dal pensiero liberal e di sinistra. Naturalmente è legittimo che un liberale avversi il multiculturalismo. Anzi, se esso significa considerare tutte le culture equivalenti, rinunciare a porre a fondamento delle regole della convivenza i principi della democrazia liberale, tollerare enclave comunitariste, allora un liberale non può che essere ostile al multiculturalismo. È anche legittimo che un liberale conservatore guardi con apprensione all’evoluzione di certi diritti individuali. Ma il liberale per Salvini non si limita a farne una questione di battaglia culturale o di politiche pubbliche: egli, piuttosto, pare pronto a correre il rischio di compromettere i cardini della democrazia liberale per avere in cambio una società rispondente alla propria visione.

Sofia Ventura
Sofia Ventura

A questo punto bisogna precisare perché sosteniamo che il liberale per Salvini per sconfiggere i suoi avversari sia pronto a infrangere i principi liberali. In prima battuta la risposta è semplice: perché, appunto, è per Salvini. E se è “per Salvini” significa che non ritiene rilevante che un ministro dell’Interno faccia approvare decreti che contraddicono i trattati internazionali, e dunque la Costituzione che ad essi richiama.

Non gli importa che in quei decreti introduca – come nel caso delle Ong che operano nel Mediterraneo – una presunzione di colpevolezza, che con i suoi proclami pretenda di sostituirsi all’autorità giudiziaria, che invochi riforme della giustizia perché i magistrati non decidono come piace a lui. Nemmeno se fino al giorno prima il liberale per Salvini si è fatto campione del “garantismo”. E non gli importa a tal punto che del ministro sposa le narrazioni complottiste e le tesi colpevoliste. Il liberale per Salvini non si cura del fatto che il ministro dell’Interno provi di volta in volta a svolgere il ruolo di altri ministri e quello di Presidente del Consiglio. O che tenga il Paese in uno stato di fibrillazione continua con una campagna permanente fatta di ossessivi appelli al popolo, mentre snobba il Parlamento. E che nutra quella campagna con un linguaggio di odio verso i suoi avversari e l’insistente propaganda sulla pericolosità di alcuni “tipi” di esseri umani. Nemmeno il fatto che si avvalga di collaboratori, formali o informali, dal profilo sconcertante, da chi crede agli Ufo a chi non nasconde simpatie nazionaliste di estrema destra, sembra rilevare per il “liberale per Salvini”. Che nemmeno pare preoccupato dei sistemi politici che il ministro prende a modello, dalla Russia di Putin all’Ungheria di Orbán, dichiaratamente illiberali.

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Incoraggiato dall’aver trovato un uomo forte che gli offre finalmente l’occasione di rovesciare quel politicamente corretto così detestato, per costruirne a sua volta uno tutto suo, il liberale per Salvini potenzia alcuni aspetti del suo conservatorismo, sino a far prevalere le dimensioni collettive della famiglia “tradizionale”, della nazione, della religione. Che nella propaganda salviniana hanno un valore escludente e avversariale, ed è difficile che il liberale per Salvini non se ne sia accorto. Ma la tentazione di passare dalla conservazione alla reazione sembra troppo forte per badarvi.

Insomma, il liberale per Salvini sembra aver rinunciato ad agire nell’attuale crisi delle democrazie attraverso il recupero, nella forma di un “pensiero forte”, dei principi liberali che hanno informato la civiltà occidentale, per adagiarsi nel più semplice “pensiero muscolare” dell’inevitabilmente illiberale populismo contemporaneo. Che apre la strada ad altri prodotti della storia occidentale, non i più felici.

Il liberale per Salvini, infine, svolge una funzione nel consolidamento del potere del suo “referente”, in virtù dello spazio pubblico conquistato. Da un lato, presentandosi come liberale e quindi “moderato” (il liberale per Salvini non utilizza il linguaggio volgare e violento del capo e dei fan) rassicura il leader e la sua cerchia sulla loro “normalità”. Gli stessi fan, che come “leoni da tastiera” imperversano sui social e il cui comportamento non produce alcuna stigmatizzazione da parte del liberale per Salvini, trovano in lui altrettanta rassicurazione. Dall’altro, proietta verso l’esterno la stessa parvenza di normalità, consentendo ai “benpensanti” di non avvertire un eccessivo disagio laddove decidano di sostenere una leadership così eccentrica. Il politicamente scorretto come nuovo politicamente corretto, cifra “culturale“ del nuovo potere, che libera pregiudizi e istinti che una faticosa, e in fondo recente, “civilizzazione” ci aveva insegnato a tenere sotto controllo, grazie al liberale per Salvini – volente o nolente – è così ricoperto della patina della rispettabilità. A sua volta il liberale per Salvini è circondato da altri “liberali”, che non si dicono per Salvini, ma che trattano della sua azione e delle sue politiche come se fossero normali in una democrazia, liquidano la sua violenza retorica come intemperanza e alzano il sopracciglio di fronte a certi collaboratori e frequentazioni, rifiutando però di ammettere che l’una e gli altri sono dati caratterizzanti la sua leadership e rivelatori della sua mentalità.

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Questi secondi rappresentano un ulteriore cuscinetto per non fare scorgere ai primi l’orizzonte della rottura con le convenzioni del vivere civile e per rendere il nuovo potere più accettabile agli occhi del mondo, come avrebbe detto Hannah Arendt. Della quale vogliamo ricordare in conclusione l’attaccamento all’idea della «facoltà di giudizio», «la più politica tra le attitudini spirituali dell’uomo», intesa come responsabilità di discriminare tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, che per la filosofa tedesca, come ha notato una delle sue più importanti studiose, Simona Forti, «in tempi di emergenza politica» si trasforma in luogo di resistenza nei confronti dell’esistente. Dai liberali per Salvini e dai loro cuscinetti attendiamoci piuttosto l’adeguamento alle «necessità della Storia».

L’ESPRESSO

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