Vittorio Feltri sull’assoluzione di Binda: “Senza prove certe, non si può condannare una persona qualsiasi”


Una cosa da brividi, da Paese che ignora i princìpi basilari del diritto, al vertice dei quali c’ è un dogma: si incarcera solamente chi è schiacciato da elementi inoppugnabili. Stefano invece viene recluso solo in quanto sospettato di avere scritto una lettera con una grafia che sarebbe, ma non è, la sua. Passano oltre tre anni e si celebra l’ appello, durante il quale emerge un dato inequivocabile: quella missiva non è stata vergata da Bindi, il quale quindi non ha colpe. Assolto per non aver commesso il reato. Una vicenda simile grida vendetta al cospetto di Dio. L’ ex ergastolano viene finalmente liberato. Non protesta. È mite e soddisfatto poiché gli è stata riconosciuta l’ estraneità al fatto di sangue in questione. Ma i congiunti di Lidia si irritano, preferivano che l’ imputato venisse ributtato in cella per sempre. Si sono convinti che costui abbia stroncato la fanciulla e non c’ è verso di convincerli del contrario. Tutto ciò ha il sapore di una irrazionale vendetta, si ignora da quale certezza sia ispirata, visto che la Corte d’ Assise d’ Appello, rimediando a un errore madornale commesso nel giudizio iniziale, ha assolto con formula piena il povero Stefano, che ha scontato gratis il carcere pur essendo un signore al di sopra di ogni sospetto. A costui, sia la giustizia tardiva sia i familiari della vittima dovrebbero solo chiedere scusa. La gente non si butta in prigione se non quando le prove la inchiodano.

di Vittorio Feltri

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