Così Di Pietro “cannibalizzò” Borrelli e ora lo scorda

Vero? Vero. In quel momento decisivo agisce in lui il fascino plebeo e barbarico di Di Pietro che lo trascina e lo travolge. Ed egli non vuole, o non sa, resistere resistere resistere. Fino all’imperdonabile, e da lui direttamente gestita, dichiarazione di guerra, in una contrapposizione mortale, con l’avviso di garanzia a Napoli (via Corriere della Sera), nel 1994, al presidente Berlusconi. Una aggressione politica della magistratura a un governo (che cadrà), come non era mai accaduto prima. L’atto non era giudiziario, ma eminentemente politico, dettato anche da antipatia personale, conseguenza dell’inascoltato, e molto minaccioso, avviso (diretto, ad personam, non di principio generale), il 20 dicembre 1993: «Chi ha scheletri negli armadi è meglio che non si candidi». Ti sei candidato lo stesso? Adesso ne paghi le conseguenze (anche se il reato non c’era). Così, all’ombra di un irruente e maschio sostituto, nasce il Borrelli politico. Si rivela esplicitamente nel 1994, ed è ormai fuori controllo, quando dichiara: «Se avviene un cataclisma per cui resta in piedi solo il capo dello Stato e chiama a raccolta gli uomini della legge, in quel caso potremmo rispondere con un servizio di complemento». Loro erano la causa del cataclisma, loro erano pronti al servizio di complemento. Parole inequivocabili. Di Pietro si era impossessato di lui. E Borrelli era sottomesso. Il dottor Jekyll si era trasformato in mister Hyde.

Alla fine il «complemento» lo hanno fatto, a scoppio ritardato, e con un plebiscito popolare, Di Maio e Salvini. Al danno si è aggiunta la beffa. Quando Borrelli si è risvegliato era troppo tardi. Ma ciò che oggi appare clamoroso, davanti al corpo morto di Borrelli è, nella eloquente lettera di encomio dei suoi sostituti, sull’house organ Corriere della Sera, l’assenza dell’uomo della sua vita, Antonio di Pietro, che lo portò fuori di strada e di senno.

Come mai quello che lo ha rovinato, sostituto dei sostituti, non firma l’elogio funebre? Dove è finito l’inventore della «scorciatoia»? Dove si è perduto, dopo averlo perduto? In un’altra pagina del Corriere, Enzo Carra assolve il fragile Borrelli, travolto da una tempesta che non poteva dominare: «Mi mostrarono in ceppi, ma credo che lui non sapesse. Era un uomo molto perbene». E chissà se non lo fosse stato! Carra ha la sindrome di Stoccolma.

Borrelli, posseduto, fattosi stratega, non poteva non sapere. Era stato, con Di Pietro, il giustiziere di Craxi; ora era l’antagonista di Berlusconi. La giustizia aveva lasciato lo spazio (e aperto la strada) alla politica. E Borrelli impedì a Di Pietro (via Previti, e con tutte le televisioni a disposizione, in particolare Mediaset, in favore del vento) di ascoltare le sirene di Berlusconi. Borrelli pensava di eliminarlo, come Craxi, per via giudiziaria, ormai strumento dichiarato di lotta politica. Di Pietro fu più onesto. Non accettando questa abberrante strumentalizzazione giudiziaria, abbandonò la toga umiliata da Borrelli, e fece un partito, il suo partito, lasciando gli altri sostituti, irretiti dal delirio autoritario di Borrelli, a credere di «sostituirsi» alla politica. Errore fatale. Di Pietro ha pagato più di tutti. E oggi tace, mentre tutti onorano il Borrelli pentito per quello che ha fatto. Ha abbattuto (e letteralmente lasciato morire, senza cure certe) Craxi, per aprire la strada a Grillo e Di Maio. È troppo! Meglio andarsene.

IL GIORNALE

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