Governo, Salvini: «È finita la fiducia, anche personale». Poi si corregge

Helsinki, primo pomeriggio. Quando Salvini incontra i giornalisti sulla terrazza della Finlandia Hall, si vede che è «arrabbiato davvero». Se Di Maio si sente pugnalato alle spalle, lui si sente tradito: «La fiducia è finita anche sul piano personale, perché mi sono fidato per mesi e mesi». Un torrente, gelido e dirompente. Denuncia il «numero infinito di insulti ricevuti» da Di Maio, Fico, Di Battista, Toninelli, Grillo e non risparmia Conte: «Non ho apprezzato la sua intervista (la lettera a «Repubblica», ndr) in cui parla di un mio presunto tradimento. Solo insulti. Io avrei danneggiato l’Italia? E loro, passando con Merkel e Macron?».

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È l’orgoglio ferito di fronte all’Europa, è il «cambio di passo epocale» con cui Di Maio e Conte avrebbero «tradito il voto degli italiani» per eleggere con le nemiche Francia e Germania «insieme a Renzi e Berlusconi» Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione: «Scelta gravissima. Io non potevo votare la tedesca, dopo che ha fatto un discorso di ultrasinistra e ci ha schifato». Ma è sul caso Russia che lo sfogo si fa più aspro. Salvini spiega la «fiducia rotta» nei confronti di Di Maio con l’accusa di voler insabbiare i presunti finanziamenti alla Lega: «Io avevo creduto in questo rapporto». E poi, alludendo anche a Di Battista: «Quando hanno avuto problemi padri o fratelli dei miei alleati, io ho sempre taciuto. Cosa c’è da insabbiare poi? Andrò presto in Parlamento». Convinto che Pd e 5 Stelle siano «già al governo insieme, per ora a Bruxelles», guarda dritto alle urne.

Ma qualora la crisi dovesse deflagrare, Sergio Mattarella accetterà di chiudere la legislatura o lascerà che si formino altre maggioranze, magari per non mettere a rischio la sessione di bilancio? È l’enigma che arrovella il ministro dell’Interno: «Votare in autunno? Non lo decido io, la crisi la decide il presidente della Repubblica, che grazie al cielo e fino a prova contraria è il garante del fatto che questo rimanga un Paese democratico». Tanti «big» leghisti lo spronano a rompere, eppure lui accelera e rallenta. Afferma di non avere «scadenze come lo yogurt», ma intanto rimprovera alcuni ministri 5 Stelle di «non avere fatto nulla» e chiede il via libera su Sicurezza bis, autonomia, giustizia e cantieri. La tentazione di mandare tutti al diavolo non è mai stata così forte, prova ne sia la decisione di disertare il Consiglio dei ministri di oggi e, «per altri impegni», il vertice sull’autonomia. Da Palazzo Chigi, Conte minaccia la fine se lui e Di Maio non faranno la pace, ma a chi tocca comporre il numero? «Il mio telefonino è sempre acceso» assicura Salvini. E a sera il vicepremier fa capire che si cerca il dialogo: «Mi correggo, Luigi è una brava persona».

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