Salvini-Di Maio, stretta di mano contro Conte

Il canovaccio nel giro di due settimane si è completamente ribaltato. Lo schema adesso non vede più i leader di Lega e Movimento 5 stelle l’un contro l’altro armati. Sembra il remake di quel che si è già visto prima con il Def e poi con la manovra: i due partiti a braccetto nello sfidare l’Europa, il premier e il ministro dell’Economia a tirare il freno a mano. Dal balcone al cortile, lo schema non cambia. Perché è sulla risposta a Bruxelles, tra procedura di infrazione, manovrina e mini bot, che si è giocata gran parte della discussione . “Non sarò io il presidente che porterà il paese dritto verso la procedura d’infrazione”, ha messo in chiaro Conte. Un uomo vicinissimo al capo politico M5s allarga le braccia: “Ormai è il signorsì di Bruxelles”.

Sia l’inner circle di Di Maio sia quello di Salvini hanno visto come un dito in un occhio il colloquio concesso al Corriere della Sera in cui ha ribadito di non voler portare il paese allo scontro con l’Europa. “È bello saperlo dai giornali”, ha ironizzato Salvini con i suoi. Di Maio ha fatto spallucce: “Siamo una repubblica parlamentare, decide il Parlamento, e le forze politiche che sono in maggioranza”. Nel quartier generale 5 stelle si guarda con preoccupazione alla “tecnicizzazione” di un presidente che ha sempre ribadito il suo voler essere politico, all’incidenza della moral suasion quirinalizia, al fatto che un asse Conte-Tria-Moavero possa nei fatti cambiare la natura dell’esecutivo.

L’intesa sull’agenda messa in scena nel vertice serale è pressoché totale. Tutte e tre le campane accreditano il via libera al decreto sicurezza bis, già oggi in Consiglio dei ministri, un’accelerazione sul salario minimo, l’orizzonte prioritario del taglio delle tasse. È qui che però iniziano i problemi. Perché secondo Palazzo Chigi i due vicepremier vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. “Non si può volere di evitare la procedura d’infrazione e insieme pretendere già da ora una misura espansiva”. Salvini ha ribadito seccamente un concetto già ribadito in chiaro: “Io alla logica degli zerovirgola non ci sto, i voti alla Lega arrivano per cambiare sul serio le cose, Europa compresa”. Appena più sfumata la posizione di Di Maio: “Siamo responsabili, ma non ci facciamo mettere i piedi in testa da nessuno. Abbiamo ascoltato per anni e abbiamo visto i risultati tra tagli alle pensioni e altro ancora. Adesso facciamo in modo che l’Europa ascolti noi”.

“Non ho sentito aut aut”, ha spiegato Conte al suo staff subito dopo l’incontro. E ha spiegato di voler fissare già in settimana un incontro con Tria e i tecnici del Tesoro. Con i due vicepremier presenti. Per rendere manifesta la scarsità di soluzioni creative adottabili in un momento delicatissimo nei rapporti comunitari. E per mettere da subito le carte in tavola in vista di settembre e di una legge di stabilità su cui grava la pesantissima ipoteca di oltre venti miliardi da trovare per evitare l’aumento dell’Iva. È per questo che nell’unico accenno fatto durante al vertice sul rimpasto, la sostituzione della poltrona vacante degli Affari europei, rivendicata dalla Lega con il placet stellato, il presidente ha avvertito: “Fino alla chiusura della vicenda sulla procedura d’infrazione le deleghe le tengo in mano io”. Nel frattempo, a qualche metro da lui sulla facciata di Palazzo Chigi, la bandiera dell’Europa spostata dal vento si attorcigliava sull’asta smettendo di sventolare, mentre i due vicepremier, dopo la stretta di mano in favore di fotografi, si allontanavano in macchina in una Roma notturna immobile come l’afa che l’avvolge.

L’HUFFPOST

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