Perché Matteo Salvini non ha scelto il voto

Il cronista non può che constatare che è andata così. Perché è ormai chiaro che la prospettiva su cui si è creata una psicosi in queste settimane, semmai c’è stata, non c’è più: la crisi, i comizi balneari, il voto a settembre… Anche al Quirinale l’aria è più tranquilla, per ora. L’onda ha prodotto la virata. Che ha lasciato stupiti anche parecchi leghisti di rango, da Giorgetti giù pe’ di rami. Perché per il grosso della Lega è inconcepibile tirare in dietro il piede con la palla così vicina alla porta. Bastava vedere le simulazioni che circolano a via Bellerio o quelle Youtrend andate in onda in parecchi talk mattutini: con Fratelli d’Italia la maggioranza assoluta sia alla Camera che al Senato, con Forza Italia poi non ci sarebbe partita. E invece Matteo ha alimentato la suggestione, ma al dunque si è tirato indietro, rinunciando all’assalto al cielo sovranista: “È chiaro – spiegano tutti i leghisti di peso – che quel comunicato di Salvini e Di Maio significa che il governo va avanti, non si vota. Adesso si apre tutta la partita della manovra, ma si va avanti”.

E ci avevano creduto anche ad Arcore, al ritorno al voto, perché il leader della Lega e quello di Forza Italia si sono sentiti più volte in queste settimana. Anzi, proprio la certezza di un ritorno al voto ha spinto Berlusconi a cedere sul congresso del suo partito, convocandolo proprio il 28 settembre, nella certezza di non celebrarlo, spiaggiando novelli delfini e aspiranti successori in gonnella che si sono un po’ montate la testa. C’entrano tante cose, in questa virata. C’entra il Quirinale, c’entra l’“ispirata” mossa di Conte, la pressione dei mercati, la paura del “partito del mutuo” pronto a votare qualunque cosa, ma, parlando con fonti leghiste degne di questo nome, c’è qualcosa che va oltre questo o quel legittimo e razionale ragionamento. Si chiama indole. E chissà che abbia ragione quella vecchia volpe di Denis Verdini, il suocero o quasi. In parecchi gli sono andati a porre la fatidica domanda cosa passi per la testa del suo promesso genero: “Che volete che vi dica. Matteo è innamorato di Di Maio”.

Nella battuta c’è un punto politico che non c’entra col cuore. Ed è quello che ha spiegato Salvini a chi, in questi giorni, ha perorato la causa della rottura, perché “questi sono incapaci”, “ci odiano”, “ci considerano una banda di corrotti”: “Gran parte del nostro consenso – ha spiegato il Capitano – nasce dall’accordo con loro, da questo schema”. Dal condividere lo stesso universo populista, la stessa cultura del primato della comunicazione sulla politica, dell’annuncio a prescindere dalle realizzazioni come le navi che continuano a sbarcare o i rimpatri che calano. Vuoi mettere avere a che fare con la Meloni o Tajani al posto di Di Maio e Toninelli che ti consentono di fare e dire di tutto. Insomma vuoi mettere come, per uno che si presenta come un eterno ragazzotto, come sono più belli gli alibi che la responsabilità. Gli alibi di non riuscire a fare le cose per colpa degli altri piuttosto che assumersi la responsabilità su di sé. Perché, per gli amanti del genere, è questo che accadrà nei prossimi mesi su terreno della manovra. Ieri, prima dell’incontro con Di Maio, il Capitano ha riunito al Viminale tutto il suo gabinetto di guerra economico. C’erano proprio tutti: Durigon, Bitonci, Garavaglia, Bagnai, e Borghi. Il quale poi, a Piazza Pulita, ci è andato giù particolarmente duro con l’Europa. E ha invocato una finanziaria in deficit, sforando i vincoli. Insomma l’opposto di quel che vogliono Conte e Mattarella. Si capisce già quel che accadrà nelle prossime settimane, col leader della Lega che reciterà il suo vorrei ma non posso, eccitando le aspettative del suo elettorato: “Dirà: io volevo fare questo e quello, ma solo loro, l’Europa, i Cinque stelle che non ce lo fanno fare”.

La verità è che dentro la Lega non sono molto convinti dall’idea di un altro autunno con Di Maio. Però ha ragione Guido Crosetto, che ha spiegato a quelli del suo partito: “Ormai una cosa è Salvini, una cosa è la Lega. Nella Lega la pensano tutti come Giorgetti che questi li manderebbero al diavolo, ma Salvini è un’altra cosa. E nessuno può dirgli nulla perché le elezioni le ha vinte lui”. E infatti nessuno parla, ma nei sussurri c’è parecchia amarezza. Perché chi mastica la politica sa che l’attimo da cogliere era ora e del domani non v’è certezza: “Ma quale prossimo anno – dice un leghista di rango – qui rischiamo di andare avanti tutta la legislatura, perché è difficile votare dopo una finanziaria non espansiva, poi ci sarà il tema dell’elezione del successore di Mattarella”. Salvini scommette, finora ha avuto ragione lui, che a fine percorso saranno prosciugati gli altri, Berlusconi da un lato, Di Maio dall’altro. Qualcuno teme che, arrivato alla meta, arriverà prosciugato lui.

L’HUFFPOST

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