Borse in rosso. Piazza Affari -0,7%, spread a 286, vicina parità con Grecia

Giornata di notizie negative dal Messico al pil italiano
Le Borse europee hanno subito imboccato la strada del ribasso risentendo dei timori legati al crescente protezionismo. Mentre le posizioni negoziali tra Cina e Stati Uniti sul fronte del commercio internazionale rimangono distanti, l’amministrazione Trump ha minacciato il Messico di alzare i dazi fino al 25% se non saranno prese misure per arginare l’immigrazione clandestina verso gli Stati Uniti. In particolare il primo round di dazi al 5% verrà introdotto il 10 giugno, poi in assenza di provvedimenti da parte del Messico, le tariffe saliranno di un ulteriore 5% il primo luglio, successivamente del 5% ancora il primo agosto, il primo settembre, fino ad arrivare al 25% del primo ottobre. In un contesto geopolitico internazionale difficile, oggi è inoltre emerso che l’attività manifatturiera cinese ha rallentato il passo con l’indice Pmi scivolato a 49,4 punti dai 50,1 di aprile, al di sotto delle previsioni degli economisti. In Italia l’Istat ha rivisto al ribasso le stime sul pil italiano del primo trimestre, che è salito solamente dello 0,1% rispetto al trimestre precedente ed è diminuito dello 0,1% nei confronti del primo trimestre del 2018. Era dall’ultimo trimestre del 2013 che l’economia italiana non calava su base annua. L’Istat ha inoltre certificato che l’indice nazionale dei prezzi al consumo a maggio è salito dello 0,1% su base mensile e dello 0,9% su base annua, rallentando il passo dal +1,1% del mese precedente. Le preoccupazioni per l’economia mondiale e i dati deludenti sulla congiuntura italiana sono stati la tempesta perfetta per far schizzare il rendimento dei titoli di stato italiani, cosicché lo spread è arrivato a toccare un top che non vedeva dal dicembre a 293 punti, avvicinandosi a quello della Grecia.

Banche in balia dello spread
A Piazza Affari hanno pagato le conseguenze dell’andamento dello spread le azioni delle banche e delle società che detengono in portafoglio titoli di stato, che poi si sono risollevate sul finale con il miglioramento del differenziale tra Btp e Bund. A proposito delle banche oggi il governatore di Bankitalia, in occasione della presentazione della Relazione Annuale, ha sottolineato che gli istituti italiani non hanno ancora riassorbito gli effetti della crisi con una «redditività che resta bassa e l’incidenza dei costi che stenta a ridursi». Sono andate male le Intesa Sanpaolo(-1,68%) e le Ubi Banca (-1,25%), mentre hanno guadagnato lo 0,2% le Unicredit e lo 0,78% le Banco Bpm. Banca Pop Er ha perso mezzo punto percentuale. Generalii ha lasciato sul parterre l’1,13%.

Fca sotto il tiro delle vendite
Le vendite si sono accanite su Fiat Chrysler Automobiles che ha accusato una flessione del 4,7%, risentendo delle minacce di dazi Usa al Messico. Secondo gli analisti di Equita, Fca ha un’esposizione diretta limitata, ma la minaccia di Trump «crea scompensi all’interno dell’intera filiera dell’auto». La casa auto rimane inoltre sotto la lente nell’attesa delle evoluzioni sul fronte aperto con la francese Renault, il cui cda si riunirà martedì prossimo per analizzare e rispondere all’offerta messa sul piatto dai vertici di Fca per una fusione alla pari. Intanto nelle ultime ore il presidente di Fca, John Elkann, ha scritto ai vertici di Nissan e Mitsubishi per chiedere un incontro e parlare della proposta di fusione a Renault. Gli investitori hanno inoltre puntato l’indice sulla vendita di azioni Fca da parte dell’amministratore delegato, Mike Manley, anche se non risulta avere alcun collegamento con il dossier Renault. Fonti prossime al manager parlano di una cessione per «spese personali». A Parigi Renault ha perso il 4,55%.

Tenaris giù con petrolio
Il calo del petrolio e la minaccia dei dazi conto il Messico hanno penalizzato le Tenaris (-3,9%). Sono andati male anche gli altri titoli petroliferi con Saipem in retromarcia del 2,6% ed Eni dello 0,6%. Buzzi Unicem è scivolata del 2,9%, sul timore che i dazi al Messico possano pesare gli utili dell’azienda.

Vola la Juventus nell’attesa del nuovo allenatore
Si sono mosse in controtendenza le azioni dellaJuventus Fc (+5,1%), nell’attesa che sia nominato l’allenatore che sostituirà Massimiliano Allegri. L’annuncio potrebbe essere imminente, dopo la finale di Champions League in calendario domani. La dirigenza bianconera, infatti, ha sempre chiarito che alzerà il velo sul nuovo allenatore solo dopo la fine di tutte le competizioni di questa stagione. Sul mercato, intanto, si sono infittite le voci sull’arrivo di Maurizio Sarri, allenatore del Chealsea, ma a Torino le bocche sono cucite. Negli ambienti sportivi c’è anche chi continua ad accarezzare il sogno di Pep Guardiola. Sono andate bene anche le Leonardo – Finmeccanica (+1,59%), dopo che la controllata statunitense Drs si è aggiudicata un contratto da 977 milioni di dollari della durata massima di otto anni. Le azioni beneficiano anche delle dichiarazioni dell’amministratore delegato, Alessandro Profumo, secondo le quali Drs sta crescendo in maniera significativa in virtù dell’aumento del budget per le spese militari Usa. Inoltre, il manager ha aggiunto di essere fiducioso del raggiungimento del target del 25% dei ricavi da servizi al 2022. Sono andate bene anche le A2a (+1,2%) e le Amplifon (+1,38%).

Mediaset sotto la lente in vista mosse in Europa
Fuori dal paniere principale, Mediaset ha difeso le posizioni (-0,11%), mentre il mercato si interroga sul futuro della società, soprattutto dopo l’acquisizione del 9,6% del capitale della tedesca Prosiebensat. Secondo indiscrezioni è allo studio la creazione di una piattaforma televisiva paneuropea, prospettiva che piace agli analisti di Mediobanca, che vedono in questa strada una soluzione per la competizione internazionale. «Siamo tuttavia preoccupati per la debolezza dell’economia che potrebbe influenzare negativamente il trend di raccolta pubblicitaria», hanno però sottolineato gli analisti, raccomandando cautela (‘Neutral’) sulle azioni di Mediaset che per altro quotano a premio sui concorrenti.

Euro rimane in area 1,11 dollari

Sul fronte dei cambi, l’euro passa di mano a 1,1144 dollari (1,1134 ieri sera). La moneta unica vale anche 121,13 yen (122,187), mentre il cambio dollaro/yen è pari a 108,69 (109,742).

Usa, rallentano le spese delle famiglie, inflazione è sotto controllo
Le spese per consumi negli Stati Uniti ad aprile hanno decelerato rispetto a marzo, quando avevano messo a segno il maggiore balzo dall’agosto 2009. Secondo quanto riportato dal dipartimento del Commercio, le spese per consumi sono aumentate dello 0,3% rispetto al mese precedente, comunque sopra le attese degli analisti pari a un aumento dello 0,2%. I redditi personali sono aumentati a marzo dello 0,5%, più del consenso pari a un +0,3%. Questo è stato il dato migliore del 2019. Il tasso di risparmio è sceso al 6,2% dal 6,1% di marzo. L’inflazione negli Stati Uniti resta al di sotto dei livelli considerati ottimali per un’economia in salute. La misura preferita dalla Federal Reserve per calcolarla, il dato Pce (personal consumption expenditures price index), è salita dello 0,3% ad aprile su base mensile, mentre su base annuale è aumentata dell’1,5%. Le attese degli analisti erano pari, rispettivamente, a un +0,2% mensile e a +1,6% annuale. La componente “core” del dato, depurata dagli elementi volatili, è aumentata annualmente dell’1,6% e mensilmente dello 0,2%. Il valore Pce è contenuto nel dato diffuso dal dipartimento del Commercio e relativo ai redditi personali e alle spese ai consumi. L’ultima volta che i prezzi core hanno raggiunto il target di crescita annua del 2%, equivalente al target della Federal Reserve, era il dicembre 2018. Da allora il dato è rimasto sotto quel valore.

(Il Sole 24 Ore Radiocor)

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