“Faranno sparire Assange in un buco nero stile Guantanamo”. Intervista a Yanis Varoufakis

Ecco, cosa è successo in Svezia dove per anni Assange è stato accusato di violenza sessuale nei confronti di una cittadina svedese?

Lui ha lasciato il paese legalmente, non è scappato. E anzi voleva andare a Stoccolma a difendersi dalle accuse. Ma i suoi avvocati lo hanno avvertito che il processo in Svezia era solo un modo per poi estradarlo negli Stati Uniti per via delle pubblicazioni di Wikileaks: è quella la cosa che gli vogliono far pagare. Tanto è vero che il procuratore speciale svedese che ha condotto l’inchiesta ha fatto visita ad Assange nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Alla fine, ha archiviato le accuse. Per anni hanno invece costruito una versione ufficiale dicendoci che lui era scappato dalla Svezia. Tutto questo mentre Chelsea Manning (l’ex militare statunitense accusata di aver dato i file riservati a Wikileaks, ndr.) veniva torturata per anni in carcere negli Usa anche sotto l’amministrazione Obama per indurla a confessare che Assange e Wikileaks l’avevano anche aiutata a trasferire i dati riservati. Poi Obama ha dato la grazia a Manning, che è stata liberata a maggio 2017. Ma ora lei è di nuovo in prigione, perché si è rifiutata ancora di testimoniare contro Wikileaks. Il punto è che Wikileaks lavora come una cassetta della posta digitale, riceve informazioni riservate, riuscendo a verificarne l’autorevolezza, senza nemmeno sapere chi le manda. Penso che il caso di Assange sia proprio da ‘Grande fratello’. Un ‘Grande fratello’ che agisce e stritola chiunque denunci i suoi crimini.

Messa così, ci chiama in causa tutti.

Quello che trovo sconcertante è che i giornalisti di tutti i maggiori organi di informazione, dal Guardian al New York Times, giornali che hanno beneficiato dei documenti pubblicati da Wikileaks, non sostengano la causa. Qualunque cosa si pensi di Assange, questa storia fa rabbrividire: l’estradizione negli Usa con l’accusa di spionaggio significa che Assange andrà incontro ad un processo non equo, non filtreranno nemmeno informazioni così come non stanno arrivando ai suoi avvocati e noi non potremo raccontarlo. Lui scomparirà inghiottito dal sistema. Dove sono i cosiddetti liberali? Si sono dimenticati la loro dottrina e cioè che non ti deve piacere per forza qualcuno per difendere i suoi diritti, che poi sono quelli di tutti noi perché riguardano la libertà di espressione, di informazione, stampa? I giornalisti devono difendere il loro diritto a pubblicare senza essere finire sotto l’artiglio del ‘Grande fratello’ in caso si ritenga offeso da ciò che è stato pubblicato. Potrebbe succedere a te un giorno, a tutti.

Eppure, oggi che è agli arresti, Assange è anche più solo rispetto al passato. Come è potuto succedere?

Hanno orchestrato una campagna efficace, fin dall’inizio. Quando appiccichi a un uomo l’etichetta dello stupratore, quell’uomo è finito agli occhi dell’opinione pubblica. E su questo poi hanno costruito. Io ho anche criticato certe sue iniziative e lui lo sa, visto che siamo amici. Per esempio, non mi è piaciuto che si sia schierato per la Brexit o che abbia fatto tweet che sono stati interpretati come un assist a Trump. Ma questo è irrilevante. Perché l’unica ragione per cui oggi è sotto inchiesta è perché ci ha fornito le prove dei crimini contro l’umanità compiuti dai governi occidentali. È per questo che oggi deve essere rilasciato, cosi che poi possiamo invitarlo a cena e discutere con lui delle iniziative discutibili che ha fatto.

La scelta di Wikileaks di pubblicare le mail riservate di Hillary Clinton nella campagna elettorale per le presidenziali del 2016, era un modo per Assange di ingraziarsi il futuro presidente Trump, scommettere in qualche modo su di lui per ritrovare la libertà? Quindi oggi si potrebbe dire che Trump ha tradito Assange?

Non penso, perché Julian è intelligente. Uno si sente tradito se ha delle aspettative e non è questo il caso. A me non è piaciuto che abbia ‘editorializzato’ le mail della Clinton. Ho sempre pensato che negli Usa bisognava turarsi il naso e votare lei per sbarrare la strada al pericoloso Trump. Però mi metto nei panni di Julian, chiuso nell’ambasciata ecuadoriana da anni, apprende che Hillary Clinton lo considera un nemico degli Stati Uniti da eliminare. Beh, mi rifiuto di giudicarlo. Può darsi gli sia scattata una umana reazione. Ma oggi chi crede nella trasparenza, nei diritti dei cittadini e nel diritto di poter pubblicare anche documenti sui crimini dei nostri governi ha il dovere morale di difenderlo.

Quando ci ha parlato l’ultima volta?

A dicembre.

Ed era consapevole che stava per scattare l’arresto?

Sì. Mi ha raccontato che ormai si sentiva chiuso in una doppia prigione: l’ambasciata in sé e il fatto che era cambiato l’ambasciatore. Una volta arrivato al potere a maggio 2017, il presidente Lenín Moreno ha cambiato l’ambasciatore e tutto lo staff dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Il nuovo ambasciatore trattava Assange come un nemico. Lui si sentiva spiato. Aveva capito che tutto questo era un preludio alla fine della protezione da parte del governo ecuadoriano e all’arresto.

Come si spiega che il governo di Quito abbia cambiato idea dopo aver offerto asilo ad Assange per sette anni?

Subito dopo le elezioni, fui invitato lì dall’ex presidente Rafael Correa. Mi fu subito chiaro che il nuovo presidente Moreno, sebbene supportato dallo stesso partito di Correa, era di diverso avviso. E infatti per ingraziarsi l’oligarchia locale ha subito stretto accordi con Washington, ha concordato un prestito con il Fondo monetario internazionale per giustificare nuove misure di austerity, ha permesso agli Stati Uniti di tornare in Ecuador. E questo ha comportato che cedesse su Assange e sugli stessi diritti della popolazione dell’Ecuador. E’ stato un cambio di regime, che ha spiccato anche un mandato di estradizione verso lo stesso Correa, riparato in Belgio. Quello di Assange non è un caso isolato, è un caso internazionale: è stato preso da Scotland Yard, perseguito anche dall’Ecuador, rischia di essere estradato negli Usa dove finirà nel ‘buco nero’ del sistema statunitense, in stile ‘Guantanamo’.

Putin lo difende. Non è imbarazzante stare dalla stessa parte di Putin?

Putin è un tiranno molto ‘smart’. Lui sa ricavare vantaggio dalle insicurezze del mondo occidentale. Quando andiamo in Iraq a dire che vogliamo esportare la democrazia e poi compiamo dei crimini efferati, lui ne approfitta: è tutta fantastica propaganda per lui. Quando ero ministro delle Finanze in Grecia, Russia Today mi descrisse come un eroe. Ma io non ho mai accettato quel ruolo, non più parlato con Russia Today e ho sempre condannato Putin come un dittatore, un uomo pericoloso. Ho tenuto un discorso a Mosca nel 2015: è stato mandato in onda in diretta, ma chissà perché a un certo punto la linea si è disturbata, la trasmissione interrotta (ride). Putin usa le nostre debolezze. Ora ospita Snowden (altro ‘whistleblower’, ex talpa della National Security Agency degli Usa, ndr) ma questo non fa di Snowden una brutta persona. Putin lo dice: Snowden non mi piace, ma se i miei nemici compiono degli errori, io li sfrutto.

Qualcuno sui social fa notare che mentre Liu Xiaobo, scrittore e dissidente perseguitato in Cina, ha avuto il Nobel per la Pace, Assange finisce in carcere e forse è perché ha scelto il nemico sbagliato: se avesse agito contro Cina e Russia, anche lui avrebbe vinto il Nobel.

E’ un’affermazione vera. Julian ci ha fatto un grande regalo: ci ha informato sui crimini del nostro mondo occidentale che si definisce bastione della democrazia e dei diritti umani. E noi invece di dargli una medaglia, lo mettiamo in prigione.

L’HUFFPOST

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