Ora anche il governo fa i conti con la crisi: sempre più disoccupati

C’è, però, un’altra conseguenza sgradevole. «Un aumento esogeno della partecipazione al mercato del lavoro induce una riduzione delle retribuzioni medie», come confermato dalle proiezioni per i prossimi tre anni. Il documento stilato dal ministro dell’Economia Tria e dai suoi tecnici mette nero su bianco che l’aumento della partecipazione al mercato del lavoro, a partire dal terzo anno, potrebbe causare una diminuzione dei salari. L’offerta di lavoro in eccesso sul mercato si riassorbe facendone diminuire il prezzo, soprattutto se, come in questo caso, si tratta di manodopera poco qualificata. Il documento non manca di notare come questa tendenza si manifesti nonostante la fissazione di una «soglia minima di retribuzione, pari a 858 euro affinché una proposta di lavoro sia da ritenere congrua». Terza conseguenza ancor più devastante delle prime due: la produttività calerà. Un aumento dell’occupazione a fronte di una crescita programmata comunque modesta (nel triennio 2020-2022 il Pil è visto aumentare dello 0,8% per anno) significa che il prodotto per occupato diminuirà. Dunque quest’anno si è fatto deficit al 2,4% del Pil per produrre questi effetti, nel triennio 2019-2022 si è aumentata la spesa per il welfare di 133 miliardi per conseguire un risultato esiguo.

«L’Iva non aumenta, non ci sono tasse sulla casa e non ci sono tasse sui risparmi», ha detto ieri Salvini dopo il vertice di governo con Conte e Di Maio. Le risorse per nuove iniziative come le flat tax e per sterilizzare le clausole di salvaguardia verranno «dalla crescita, perché siamo convinti che siamo uno dei Paesi migliori al mondo». Come Salvini anche noi siamo condannati all’ottimismo.

IL GIORNALE

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