Burocrazia, giustizia, tasse e avanzo primario: la ricetta di Cottarelli per salvare l’Italia

Nella foto il premier Giuseppe Conte, a sinistra, e il ministro dell’Economia, Giovanni Tria – Pierpaolo Scavuzzo / AGF

Cottarelli non coltiva ambizioni politiche – pur sapendo che alla prossima crisi, il premier tecnico potrebbe essere proprio lui -, “preferisco fare il divulgatore. Mi illudo che spiegando la reale situazione, politici ed elettori possano capire quali sono le cose che davvero servono al Paese”.

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“Bisogna smantellare la burocrazia – dice Cottarelli -. Ogni anno le Pmi spendono 35 miliardi di euro solo per riempire dei moduli e non costo non viene conteggiata la perdita di tempo. Dobbiamo riformare la giustizia: in Italia bisogna aspettare 7 anni per una sentenza definitiva, in Germania e Spagna poco più di due anni per forza attraggono più investimenti e sono più competitivi di noi. E poi le tasse: vanno tagliate, ma non certo con l’aumento del deficit. Servono risorse certe e durature perché il taglio sia credibile e strutturale. Io comincerei dall’evasione fiscale che vale 130 miliardi di euro, più del doppio di quello che spendiamo in istruzione”.

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L’ex funzionario del Fmi conosce bene i problemi dell’Italia e non si preoccupa di ammettere che qualcosa con l’euro non abbia funzionato: “Abbiamo gestito male il passaggio alla moneta unico, da 20 anni il reddito pro capite è fermo, abbiamo perso competitività nei confronti di tutti i grandi Paesi europei proprio mentre perdevamo la possibilità di svalutare la nostra moneta. A questo si sono aggiunti bassi tassi d’interesse: con una stretta fiscale avremmo potuto compensare l’eccesso di liquidità invece abbiamo fatto proprio il contrario”.

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Per entrare nell’euro, l’Italia portò il proprio avanzo primario al 5%, ma una volta nella moneta unica i cordoni della borsa sono stati allentati immediatamente: l’avanzo è sceso al 2% in cinque anni (“soprattutto per colpa degli aumenti salariali nel pubblico impiego”) e tra il 1999 e il 2008 il nostro export è rimasto fermo, mentre la Germania è cresciuta del 70%. Abbastanza perché il Pil rallentasse e il debito tornasse a salire così “quando la crisi greca ha fatto cadere il dogma dell’irreversibilità dell’euro i Paesi più forti hanno messo sotto pressione quelli con più squilibri. Come l’Italia”. Tradotto: la convinzione che uscire dall’euro avrebbe aumentato la competitività del Paese ha spinto verso le stelle lo spread. “Non fu una congiura internazionale – spiega Cottarelli -, ma il rendimento chiesto dai mercati per il rischio che noi lasciassimo la moneta unica. Di certo, una volta entrati nell’euro abbiamo commesso molti errori perdendo l’occasione di sistemare i conti pubblici”.

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L’esempio preferito dall’economista è quello del Belgio che tra il 1993 e il 2007 ha ridotto il debito pubblico di 50 punti con un avanzo primario medio del 4%, “noi, invece, appena i tassi sono scesi siamo tornati a spendere”. L’Europa però non è esente da responsabilità: “Quando Monti varò la sua manovra, la Bce avrebbe dovuto tagliare immediatamente i tassi, invece, passarono diversi mesi, troppi. Il conto per l’Italia fu enorme. E adesso sono preoccupato per il futuro. Non mi auguro una crisi e non credo a una manovra bis, perché i conti si faranno in autunno, ma se l’Europa entrasse in recessione saremmo i primi a pagarne le conseguenze. Il nuovo presidente della Bce potrebbe essere meno attento e far scontare all’Italia la responsabilità di non aver messo i conti in ordine quando i tassi erano bassi e l’economia cresceva. Peggio, se dovessimo chiamare la Troika, le pressioni per una patrimoniale o una ristrutturazione del debito sarebbero enormi. Come le loro conseguenze”.

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