Un nuovo batterio esiste in natura. Il suo Dna creato dal computer



Ed è stata questa la fase in cui hanno chiesto la collaborazione del computer. Un algoritmo si è occupato della cernita fra i geni inutili e quelli essenziali per la sopravvivenza del minuscolo organismo. Non tutti i frammenti del genoma di Zurigo hanno dimostrato di funzionare a dovere: solo 580 su 680, inseriti in un batterio naturale, hanno passato il test. Ma il libro della vita artificiale è ancora alle prime righe. Gli scienziati hanno fretta di imparare a scrivere la lingua del Dna per ottenere proteine utili. Obiettivi: produrre medicine, nuove sostanze chimiche, ripulire l’ambiente e perfino renderlo più profumato: di recente gli aromi di un fiore estinto (un hibiscus delle Hawaii) sono stati ricreati partendo delle lettere del suo genoma.

Un nuovo batterio esiste in natura. Il suo Dna creato dal computer

La provetta con il Dna artificiale. Foto: Politecnico di Zurigo, Jonathan Venetz  
Passi l’imitare la natura. Ma davvero l’uomo può ambire a migliorarla? Ridurre a un sesto il Dna del batterio che vive nei laghi e nelle fonti vuol dire accusare l’evoluzione di inefficienza. “Nei genomi di tutti gli organismi si trovano sequenze ripetute e ridondanti” spiega Gerry Melino, che dirige il dipartimento di Medicina sperimentale all’università Tor Vergata di Roma. “Può trattarsi di resti di antichi virus o di residui ancestrali che oggi non servono più. Ma non sempre possiamo parlare di sbrodolature. Spesso infatti non sappiamo quale sia la funzione delle ripetizioni”. Un tempo si parlava di “Junk Dna” o Dna spazzatura. “Oggi – prosegue Melino – abbiamo imparato che quei frammenti di cromosomi all’apparenza inutili, di scarto, in realtà sono fondamentali. Esistono ad esempio sequenze che svolgono la funzione di promotori: non sono geni, ma ordinano ai geni di attivarsi. Sono come quei menu che indicano al disco quale canzone eseguire e quante volte ripeterla”.

Un nuovo batterio esiste in natura. Il suo Dna creato dal computer

Il batterio con il Dna artificiale creato da Craig Venter Condividi  
“Quel che non riesco a creare non lo potrò mai capire” diceva negli anni ’80 il Nobel per la Fisica Richard Feynman. L’idea di “creare” il loro proprio Dna, in effetti, per i biologi non è nuova. Nel 2010 il genetista americano Craig Venter tirò fuori dalle sue provette “Synthia“, il primo batterio artificiale, con un metodo non troppo diverso da quello di Zurigo. Ma gli ci vollero vent’anni di lavoro e 40 milioni di dollari. Oggi in Svizzera al risultato si è arrivati in un anno e 100mila euro di spesa. Nel 2016 circa 200 genetisti di tutto il mondo si misero insieme per lanciare lo “Human Genome Project – Write”. Si proponevano di riscrivere in laboratorio l’intero Dna dell’uomo e inserirlo in un’unica cellula, da conservare in una provetta. L’iniziativa – stratosferica nella sua presunzione – è in alto mare. Ma un mese fa un gruppo giapponese è riuscito a creare una doppia elica con otto lettere: quattro sono completamente nuove. Gradualmente, anche se sbandando fra presunzioni e ingenuità, l’uomo sta staccando il suo cordone ombelicale con la natura per cercare il suo alfabeto della vita.

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