Cosa lascia, a fine ciclo, l’Europa dei tre presidenti

Eppure la Ue e l’Eurozona hanno fatto economicamente e istituzionalmente molti progressi, dovuti principalmente all’azione di Merkel e Draghi, ma anche a quella di Juncker. Ciò che accomuna queste tre personalità è una forte combinazione di ideali, competenza e concretezza. E anche di coraggio e di complementarietà. Facile sarebbe criticarli, ma più onesto è riconoscere i meriti di questi tre “presidenti europei”. Vediamo perché usando talvolta riferimenti ai vantaggi che ne ha tratto anche l’Italia. Certo, documentarsi è faticoso, ma la democrazia richiede razionalità anche per sottrarre l’emotività all’istinto o alla “rete”.

Juncker: il presidente della Commissione

Spesso sottovalutato, Jean-Claude Juncker ha invece dimostrato di valere sia per sua esperienza nelle istituzioni europee, sia per disegno di progresso nelle stesse. Il programma presentato al Parlamento europeo per la sua elezione, il 15 luglio 2014, era centrato su occupazione, crescita e investimenti, equità e cambiamento democratico declinati in 10 settori strategici. Ma anche su una forte applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità per valorizzare appieno gli Stati membri negli spazi di maggiore possibile efficienza-efficacia. Le sue relazioni annuali sullo “Stato dell’Unione” hanno registrato successi e insuccessi, in modo trasparente.

Un successo è il Piano Juncker che, con il Fondo europeo per gli investimenti strategici ed in collaborazione con la Bei ha mobilitato quasi 400 miliardi di investimenti pubblici e privati di cui hanno fruito tra l’altro 600 mila piccole e medie imprese. Questo è oggi un rodato strumento da potenziare per mobilitare qualche migliaio di miliardi di investimenti industriali e infrastrutturali urgenti. L’emissione di EuroUnionBond sarebbe a tal fine importante.

Un altro successo è l’interpretazione più flessibile del Patto di Stabilità e Crescita per sostenere gli investimenti, le riforme strutturali e per contrastare i cicli economici senza tuttavia rinunciare a politiche di bilancio prudenti. Operazione tacitamente sostenuta da Merkel e contrastata dai “falchi” del Nord-Europa, compresi vari micro-Stati. L’Italia ne ha beneficiato nel periodo 2014-18, ma ne sta abusando nel 2019.

Importante, anche se non compiuto, l’impegno di Juncker per la semplificazione normativa dove s’è impegnato per “non soffocare l’innovazione e la competitività con regolamentazioni troppo prescrittive e troppo dettagliate, in particolare nei confronti delle piccole e medie imprese. Le pmi sono la colonna portante della nostra economia e creano l’85% dei nuovi posti di lavoro in Europa”. L’Italia che si lamenta della burocrazia della Commissione ha semplificato più della Ue e dell’Eurozona in applicazione della sussidiarietà? Non ci sembra. Basti pensare che i dipendenti del Comune di Roma sono quasi 24 mila (al 2017) entità sproporzionata rispetto ai circa 33 mila della Commissione Europea.

Infine Juncker e la Commissione hanno dato la direttrice a un programma di riforme che, pur traballante, arriva al traguardo del 2019 con coerenza e con la prospettiva di proseguire nel prossimo quinquennio nella continuità istituzionale.

Merkel: la presidente de facto del Consiglio europeo

Questa è la realtà, mentre istituzionalmente il presidente del Consiglio Europeo è stato nel quinquennio passato il polacco Donald Tusk, affiancato a rotazione dai capi di Stato o di Governo nei semestri europei. Merkel è una personalità straordinaria che ha “governato” la Ue e l’Eurozona nei 10 anni della peggiore crisi socio-economica dai Trattati di Roma del 1957, bilanciando spinte contrapposte e orientandole alla solidarietà costruttiva. Nella impossibilità di ripercorrere i 10 anni passati mi riferisco al suo discorso alla sessione plenaria del Parlamento Europeo nel novembre 2018 che ha il tono di una “memoria conclusiva”. Semplificando un discorso molto importante, per quanto conciso, rilevo che la metà è dedicato alla solidarietà europea, declinata in tre dimensioni prospettiche: solidarietà come valore fondante dell’Europa; solidarietà come responsabilità della Comunità/Unione; solidarietà come razionalità che gli Stati membri dovrebbero usare nel perseguire i propri interessi

La presidente concretizza il paradigma solidale in 3 applicazioni politico-strategiche per fare della Ue/Uem il terzo polo della geografia mondiale a fianco dei due grandi (non citati), Usa e Cina. Le prime due applicazioni sono su sicurezza (difesa europea), migrazioni (frontiere esterne della Ue, cooperazione allo sviluppo, mancanze dell’Europa), cambiamenti climatici. La terza è sull’economia e su questa mi concentro e non solo in quanto Merkel afferma che la stessa è il fattore cruciale per la solidità interna e la forza internazionale della Ue, anche in termini politici. Quasi tutti i temi della politica economica europea vengono toccati con particolare riferimento al completamento della unione economica e monetaria, ovvero con il potenziamento dello European Stability Mechanism (formidabile innovazione del 2011 sulla cui sottoutilizzazione abbiamo espresso più volte critiche proponendo che diventasse lo strumento per la emissione di EuroUnionBond); con un bilancio per la Eurozona (tesi franco-tedesca); con l’unione bancaria e la garanzia europea sui depositi condizionata però alla riduzione di rischi in singoli Paesi. Si passa infine con enfasi al crescente ruolo della tecno-scienza quale motore della innovazione , della crescita e per l’indipendenza da Cina e Usa.

Due temi non vengono però chiariti. Uno riguarda l’Unione Bancaria (completa per supervisione e risoluzione), ma non per la garanzia europea sui depositi dove la Germania guida un gruppo di oppositori con un atteggiamento punitivo sugli npl e sui titoli di Stato (a scapito dell’Italia) e tollerante sui titoli opachi detenuti dalle banche tedesche. L’altro riguarda le regole della concorrenza, tema emerso a febbraio dopo lo stop della Commissione Ue alla fusione Siemens-Alstom. Il danno ha colpito l’industria ferroviaria franco-tedesca, ma anche l’Europa, che con la fusione avrebbe potuto competere con l’azienda statale Cinese “Crrc”, pur rimanendo dimensionalmente la metà di quest’ultima. Con i criteri della concorrenza europei oggi l’Europa non avrebbe Airbus e Galileo che la collocano ai vertici dell’aereospaziale.

Draghi: il presidente della Bce

Sorprende anche che nelle riflessioni di Merkel non si tratti della Bce, segno della estrema delicatezza del tema per l’opinione pubblica tedesca, nonostante la cancelliera sia stata essenziale nel supportare Draghi in una politica monetaria che ha salvato l’euro, l’eurozona e anche la Ue.

Quanto all’analisi, Draghi meriterà una riflessione a parte. Per ora mi limito a rilevare che nei suoi otto anni di presidenza della Bce, che si concluderanno a fine ottobre, egli ha combinato le sue convinzioni europeiste declinate in una visione strategica della costruzione europea con le sue straordinarie competenze di politica monetaria, collocata nelle coerenze della politica economica. Ci sono tre suoi recenti interventi che esprimono queste sue visioni-valutazioni-decisioni: due al Parlamento europeo in seduta plenaria il 15 gennaio del 2019 (uno per le celebrazioni dei 20 anni dell’euro; l’altro per il Rapporto Annuale della Bce); l’altro, del 22 febbraio 2019, alla Università di Bologna in occasione del conferimento della laurea honoris causa in giurisprudenza. Queste relazioni istituzionali dovrebbero essere ampiamente diffuse in Italia per spiegare ai ceti dirigenti (politici, economici e sociali) come convinzioni e competenze siano essenziali per una politica benefica per la Comunità europea e gli Stati membri. Il punto politico centrale è che nella velocità del cambiamento odierno solo Stati forti e di grandi dimensioni possono essere (quasi) indipendenti e sovrani. Sicché nella Ue gli Stati hanno una sovranità condivisa mentre fuori non ne avrebbero alcuna.

Questa affermazione, del tutto condivisibile, viene declinata in vari modi. Uno è che l’euro ha dato stabilità dei prezzi ed ha contribuito alla integrazione del mercato unico europeo potenziando così anche l’economia reale. Un altro è che con l’euro, l’eurozona ha acquisito un ruolo nella configurazione delle regole finanziarie globali. Un altro ancora è che la Bce, usando la flessibilità offerta dai Trattati europei e dal suo Statuto centrato sulla stabilità dei prezzi (convenzionalmente vicini al 2%) ha potuto svolgere una politica monetaria efficace che ha contrastato la crisi economica senza però venir meno al suo mandato e, quindi, rimanendo affidabile sia all’interno che all’esterno della Eurozona. Flessibilità (per attuare il mandato), indipendenza e affidabilità hanno caratterizzato l’azione della Bce senza la quale, aggiungo io, vari Paesi (e non solo l’Italia) sarebbero collassati quando i lori titoli di Stato furono aggrediti dai mercati. Se poi questi Paesi (come l’Italia) non fanno le necessarie riforme oppure peggiorano quelle fatte, questo non è imputabile alle Istituzioni europee. Il sovranismo, nel XXI secolo, non porta alla sovranità e alla indipendenza, ma alla autarchia e alla subordinazione.

Qualche conclusione

Tra le molte possibili ritengo meritevoli di attenzione le parole che Juncker ha pronunciato commentando il suo mandato con una conclusione di auto-apprezzamento e di autocritica.

Forse Juncker eccede quando, presentando la sua relazione sullo “Stato dell’Unione” del settembre 2018, cioè l’ultima del suo mandato, afferma di aver portato alla approvazione del Parlamento Europeo il 50% dei progetti mentre un 20% è in itinere e un 30% in fase negoziale. Questi sono numeri che andrebbero ponderati con la qualità (che come detto in alcuni casi è stata notevole) dei provvedimenti. Di questo è ben consapevole Juncker stesso quando fa una autocritica (ma anche una critica al suo predecessore e ai capi di Stato e di Governo) esprimendo un rammarico che non siano state realizzate politiche di bilancio e fiscali coordinate per contrastare la crisi, eccedendo invece in austerità (vedasi Grecia) anche appoggiandosi al Fmi. È un ritornello che si ripeterà ancora finché l’Eurozona non potrà avere una capacità di intervento diretto con una spesa per investimenti finanziata con EuroUnionBond garantiti. Vedremo se il nuovo Parlamento Europeo riprenderà un suo vecchio progetto.

L’HUFFPOST

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