Il direttore generale Rossi si dimette: “Vado via per il bene di Bankitalia”

Per lungo tempo Palazzo Koch è stato al riparo dalla politica e dalle sue dinamiche. Una distanza che aveva molti aspetti positivi – la piena indipendenza – e alcuni negativi, come il rischio dell’autoreferenzialità. Gli ultimi due anni per Rossi non sono stati facili, e non solo a causa del governo giallo-verde. L’epilogo della storia di Rossi in Banca d’Italia inizia con la corsa alla successione a Ignazio Visco nell’autunno del 2017: lo scontro di quest’ultimo con Matteo Renzi, e le voci che accreditavano Rossi come possibile successore con il sostegno di Sergio Mattarella, hanno intaccato il rapporto personale con il governatore. Il resto lo ha fatto – poche settimane fa – il veto di Luigi Di Maio alla riconferma di Federico Signorini nel direttorio. Un messaggio in realtà diretto proprio a Rossi e all’ipotesi di sua riconferma. Una selezione dei migliori articoli della settimana. Ti presentiamo Top10

Scrive ancora la lettera di Rossi: «Per assicurare la funzionalità dei due istituti uscirò formalmente solo dopo il completamento dell’iter della mia sostituzione e comunque entro il 9 maggio, scadenza naturale del mandato». Da queste parole si intuisce che in ogni caso è con Visco che Rossi ha concordato il proprio addio. Benché a quella scadenza manchino due mesi, fra appena dieci giorni il Consiglio superiore della Banca deve indicare i candidati alla successore dei due membri in scadenza nel direttorio: sono lo stesso Rossi e la collega Valeria Sannucci.

Quello sarà il primo passo di un lungo iter che passa dal gradimento del presidente del Consiglio e dalla ratifica del capo dello Stato. Il veto su Signorini aveva già ridotto da cinque a quattro il numero dei membri effettivi. Senza il passo indietro di Rossi, c’erano buone probabilità che il collegio della Banca rimanesse con due membri effettivi su cinque. Almeno questo era il timore che si respirava in Banca prima dell’ultimo incontro – decisivo – fra Visco e il premier lo scorso cinque marzo.

A voler dargli una connotazione politica, Rossi incarna l’anima più genuinamente «di sinistra» dell’istituzione. Già capo dell’ufficio studi, grande appassionato di storia dell’economia italiana e di politica industriale, è da anni autore della casa editrice Laterza. È per questa ragione, unità all’età, che ha fatto di lui il bersaglio perfetto (ma mai esplicitato) dell’avvicendamento chiesto da Di Maio e Matteo Salvini. Gli succederà come direttore generale Fabio Panetta, già sherpa del governatore Mario Draghi negli anni a via Nazionale, fiero oppositore del bail-in e delle regole europee che impongono ad azionisti ed obbligazionisti le conseguenze dei fallimenti. È per questa ragione che la sua nomina a direttore generale non avrà l’ostilità del governo. La sentenza di ieri della Corte di giustizia europea sul caso Tercas è un successo per chi, come lui, ha spesso criticato le rigidità della Commissione europea in materia bancaria. Non era difficile intuire che questo sarebbe stato l’epilogo: da tempo Panetta accompagna il ministro del Tesoro nelle trasferte più delicate, dalla Cina alla Russia.

LA STAMPA

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