Brexit, perché Corbyn ha detto sì a un secondo referendum

Così, alla fine, Corbyn si è convinto, anche se, assicurano dal Labour, “personalmente lui non voglia affatto un secondo referendum. Allo stesso tempo però Corbyn non vuole far passare il messaggio di essere complice inconsapevole di May”. Si sussurra anche di una dirigenza laburista tuttora spaccata sul tema, perché alcuni vertici esigono un impegno ancora più esplicito e convinto su un secondo referendum sulla Brexit. In ogni caso, la svolta decisa da Corbyn era l’unico modo per cercare di tenere salda la sua creatura politica e per convincere i membri e gli iscritti europeisti del Labour a non passare al neonato Gruppo Indipendente composto da ribelli laburisti e conservatori.



L’altra motivazione è l’effetto leva che una simile posizione può causare in Parlamento. Alla Camera dei Comuni al momento non c’è una maggioranza per un secondo referendum, quindi Corbyn potrebbe anche giocare un doppio gioco: quasi certo dell’impossibilità di un nuovo voto sulla Brexit, questa potrebbe essere la sua minaccia politica per far approvare quella che resta di fatto la sua opzione preferenziale e cioè il suo personale piano della Brexit. Il quale prevede unione doganale permanente, una sorta di mercato unico e, soprattutto, piace così tanto a Bruxelles, tanto che le autorità europee lo hanno sostenuto apertamente. Non è un caso che Corbyn la settimana scorsa abbia incontrato il capo negoziatore Ue Barnier in Belgio.

Oggi Corbyn ha fatto sapere che il suo obiettivo principale è “affossare l’accordo della premier May sulla Brexit”. L’arma finale è dunque diventata la seconda consultazione popolare, che però al momento resta ancora molto oscura nei piani Labour: l’emendamento non verrà presentato questa settimana, le opzioni sulla scheda sono ignote. E il partito come si schiererà?

Non solo. Corbyn ha annunciato che comunque il partito voterà anche l’emendamento della laburista Yvonne Cooper, che andrà al vaglio della Camera dopodomani. Qualora venisse approvato, la premier May avrebbe tempo fino al 13 marzo per far passare il suo piano, altrimenti il Parlamento prenderebbe il controllo della Brexit e rinvierebbe automaticamente l’uscita del Regno Unito dall’Ue prevista per il 29 marzo (oltre il quale, senza accordo, c’è il baratro del “No Deal”). Corbyn aveva appoggiato una simile mozione anche due settimane fa ma allora i ribelli laburisti dei distretti elettorali pro Brexit si erano ammutinati. Ora che cosa succederà?

C’è un altro paradosso, però, ed è forse il più importante. La minaccia di Corbyn di un secondo referendum potrebbe paradossalmente serrare i ranghi dei conservatori: i brexiters, spaventati, potrebbero così ingoiare all’ultimo il piano May. Sarebbe l’epilogo più amaro per il leader laburista, che solo adesso sta abbandonando torpore e immobilismo politico che negli ultimi tempi gli ha lacerato il partito.

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