Giustizia, vacilla il totem dei grillini

Adalberto Signore

Infine vacilla pure l’ultimo totem, il pilastro portante del Movimento fin da quando nel 2007 iniziò a muovere i primi passi dalle piazze anticasta dei vari «Vaffa day».

L’ultimo atto, forse, di una mutazione genetica che sta riscrivendo il dna dei Cinque stelle da quando da forza di opposizione dura e pura sono diventati senza troppi travagli partito di casta e di governo. Dopo il cambio di marcia sulla Tav, l’imbarazzato temporeggiare sul Tap, le dimenticanze sugli F35 o l’allargamento della legittima difesa, Luigi Di Maio arriva infatti a scardinare quello che per molti è il perno di un Movimento nato e cresciuto al grido di «o-ne-stà-o-ne-stà». Una narrazione il cui corollario necessario è sempre stato la fiducia incondizionata nella magistratura e il rifiuto di qualsiasi forma di immunità per parlamentari o ministri. Anzi, l’abolizione dell’immunità è stata per il M5s uno dei principali cavalli di battaglia. «Strumenti che non useremo mai», giurava Di Maio solo qualche anno fa attaccando Matteo Renzi e Maria Elena Boschi sul caso Etruria. Certo, già nel 2017 una prima eccezione il vicepremier se l’era concessa, tanto che fu proprio grazie all’immunità parlamentare che Di Maio vide archiviata dal gip di Roma una querela nei suoi confronti. Una vicenda che dava la misura di quella che sarebbe stata la coerenza degli anni a venire, ma che era comunque destinata a rimanere circoscritta e con un impatto mediatico decisamente basso.

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