Il piano segreto di Salvini per abbattere lo spread: un governo degrillinizzato

Un altro chiodo di quella che di qui a qualche mese potrebbe essere la bara del governo Conte, lo piazza a metà giornata Matteo Salvini. Con una leggerezza che fa torto alla portata politica dello strappo, il ministro dell’Interno fa infatti sapere che l’Italia non firmerà il Global compact for migration – un insieme di accordi sull’immigrazione sostenuti dall’Onu – finché sul punto non si esprimerà il Parlamento.

Una sconfessione clamorosa non solo del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, ma pure del presidente del Consiglio, peraltro azzoppato dal vicepremier proprio alla vigilia del suo arrivo al G20 di Buenos Aires che si apre domani. Giuseppe Conte, che appena due mesi fa a New York aveva garantito il sostegno italiano durante il suo intervento all’assemblea generale delle Nazioni Unite, fa buon viso a cattivo gioco e spiega che, vista la delicatezza del tema, è giusto che ci sia un pronunciamento del Parlamento. Ma la verità è ben altra. E racconta di uno scontro furibondo che si è consumato martedì ai piani alti della Farnesina, con il sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi che non ha ceduto al pressing degli uffici del ministro.

D’altra parte, sono mesi che l’esponente della Lega sostiene che il Global compact è un «accordo folle» che «distrugge di fatto i confini e gli Stati nazionali favorendo l’immigrazione incontrollata». Insomma, le perplessità del Carroccio erano note, persino dentro la Farnesina. E Salvini non ha fatto che ribadirle a sera durante un acceso vertice a Palazzo Chigi. Il tutto con un risultato: il 10 dicembre l’Italia diserterà la conferenza intergovernativa di Marrakech perché non è in grado di esprimere una posizione.

Un’altra crepa, dunque, in una maggioranza che pare sempre più in affanno. Soprattutto ora che la leadership del M5s sembra essere compromessa. Le rivelazioni sull’azienda della famiglia Di Maio (di cui il vicepremier è titolare al 50% dal 2014) hanno infatti schiacciato in un angolo il Movimento. E il fatto che Salvini non abbia avuto remore ad aprire l’ennesimo fronte – dopo quelli sul ddl anticorruzione, il dl sicurezza, gli inceneritori, la Tav e la Tap – lascia pensare che il leader della Lega inizi ad accarezzare l’idea di arrivare a uno show down. Non per tornare al voto – che Sergio Mattarella continua a considerare come ultima ratio – ma per dare vita a un esecutivo «degrillinizzato». D’altra parte, sono almeno tre i ministri della Lega che a microfoni spenti non hanno più remore nel dire che la situazione è ormai «fuori controllo» e che «il M5s è del tutto inaffidabile». Uno di loro è Lorenzo Fontana, sulla rampa di lancio per fare il Commissario Ue dopo le Europee 2019. «I grillini sono troppo eterogenei, fanno una fatica indicibile a stare insieme e credo che alla fine esploderanno», ha confidato a un leghista di peso qualche giorno fa. Con tanto di previsione: «Non credo che questo governo durerà molto». D’altra parte, ai piani alti del Carroccio si ragiona senza esitazioni su uno scenario che vedrebbe Salvini a Palazzo Chigi a capo di un governo sostenuto da Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e con il supporto determinante di un pezzo importante di fuoriusciti del M5s. «Quelli che fanno capo a Di Maio», spiega un sottosegretario di Stato vicino a Salvini. «I grillini finiranno per spaccarsi. Metà andrà con il Che Di Battista di ritorno dai suoi viaggi e l’altra metà – è il ragionamento – sosterrà senza problemi un governo di responsabilità». Che, ha fatto notare in privato Giancarlo Giorgetti, «non dispiacerebbe neanche ai mercati». Alcuni emissari di importanti Fondi sovrani avrebbero infatti fatto sapere al sottosegretario alla presidenza del Consiglio che una «degrillizzazione» del governo potrebbe portare a «un calo dello spread anche di 100 punti». Per quanto un esecutivo tenuto in piedi da una folta pattuglia di «responsabili» possa essere precario, infatti, l’impressione sui mercati è che sia comunque più affidabile di quello dove oggi convivono a fatica Lega e M5s. Peraltro, ci sarebbe finalmente un interlocutore politicamente forte a Palazzo Chigi (cioè Salvini), invece di un premier debole che – come accaduto sul Global compact – ha margini di autonomia ridotti al lumicino. Il tutto, ovviamente, dovrebbe avvenire senza il passaggio – considerato traumatico – delle urne, destinato inevitabilmente a creare un’ondata di instabilità.

Un’operazione non troppo in là da venire, perché l’unico vincolo temporale è dato dall’approvazione della legge di Bilancio. Scongiurato l’esercizio provvisorio, insomma, liberi tutti. Ovviamente al netto dell’inevitabile gioco del cerino, perché Salvini farà il possibile per fare cadere sui grillini la responsabilità di una rottura. Ma visti i tanti temi che dividono Lega e M5s, non è certo un’impresa metterne in agenda uno. Che potrebbe essere proprio il Global compact. Anche se ieri, proprio davanti all’ingresso dell’aula, il presidente della Camera Roberto Fico ha assicurato che si impegnerà affinché «il Parlamento si occupi della cosa il più presto possibile», non è affatto escluso che si possa slittare fino a gennaio. Dopo la manovra, dunque.

Con un voto che vedrebbe delinearsi proprio quella nuova maggioranza su cui sta ragionando Salvini, con M5s e Pd insieme all’opposizione.

IL GIORNALE

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