Di Maio ci vuole in bancarotta Il suo piano costa 30 miliardi

Un libro dei sogni, al quale non credono nemmeno i diretti interessati. Il leader del Movimento Cinque stelle Luigi Di Maio ha scritto al Corriere della Sera una lettera che dovrebbe essere il canovaccio del programma di un governo con il Partito democratico.

Barra a sinistra, ancora di più, rispetto al programma originario dei pentastellati per catturare le simpatie dei democratici e magari anche quelli della vecchia ditta Pd, uscita su parole d’ordine più social. Oppure, più semplicemente, un modo per poter dire, quando sarà fallito il tentativo di formare un governo M5s-Pd, che il Nazareno ha tradito la sua vocazione di sinistra.

La lista della spesa di Di Maio va oltre il programma elettorale. Elenca varie misure. Tutte costosissime. Senza indicare le coperture, se non il classico «lotta all’evasione» e riduzione degli sprechi. Sorgenti a secco per le finanze pubbliche come hanno dimostrato le ultime edizioni della voluntary disclosure.

Intanto le assunzioni. Di Maio cita 10mila nuovi agenti delle forze dell’ordine. Una spesa non calcolata che potrebbe sfiorare i 400 milioni di euro. Non manca il reddito di cittadinanza, che potrebbe costare una cifra tra i 17 e i 25 miliardi di euro a seconda della platea. Ma Di Maio rilancia e chiede anche la «pensione di cittadinanza». Quindi un altro reddito slegato dal lavoro. Nell’elenco delle misure che dovrebbero invogliare il Pd a realizzare l’alleanza con i pentastellati c’è un capitolo fiscale lasciato un po’ sul vago. Restano le misure per ridurre le imposte sulle imprese, che nella versione del programma elettorale del M5S costavano 12 miliardi. Più altri 4 per riformare l’Irpef. Seguono alcune novità, come il rifinanziamento del Fondo sanitario nazionale e l’assunzione di medici e infermieri .

A spanne, il conto di un governo di sinistra supererebbe i 30 miliardi di euro all’anno. Tutte misure da coprire. Non è dato sapere come, ma i margini di manovra dei governi italiani, di qualunque colore, sono da anni angusti e in futuro si restringeranno ancora di più. Basti pensare che per il 2019 ci sono già 13 miliardi da trovare per evitare l’aumento dell’Iva.

Di Maio propone infatti di «superare il fiscal compact». Cioè le regole che vincolano il bilancio italiano a dei limiti concordati con l’Ue. Obiettivo comune a molte forze politiche. Ma che difficilmente potrebbe passare il vaglio di Bruxelles, soprattutto se l’obiettivo è quello di realizzare un programma di ultra sinistra, alla Alexis Tsipras prima versione.

Potrebbe essere una boutade dettata dall’emergenza politica per di Maio, che è conquistare Palazzo Chigi. Ma se i punti della lettera diventassero legge è facile immaginare che si aprirebbe una caccia disperata alle coperture. Un governo M5s-Pd potrebbe cercare risorse per realizzare quel programma, magari anche solo in parte, con nuove tasse. Ad esempio quelle che piacciono alla sinistra (Matteo Renzi a parte) come quelle sulla prima casa e la patrimoniale. Più probabile, che quella di ieri sia invece un’ultima offerta, nata per fallire. Difficile chiedere al Partito democratico di formare un governo su parole d’ordine che ci metterebbero in difficoltà con l’Unione europea, ma anche con i mercati che restano sensibilissimi agli equilibri politici di un paese che resta tra i più indebitati al mondo.

La missiva non ha incassato nessun plauso. Non dagli interlocutori principali del Pd, che si esprimeranno giovedì alla direzione. Ieri il presidente Matteo Orfini ha bollato il tentativo di Di Maio come una «letterina».

IL GIORNALE

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